Per Falcone

Da leggersi il 22 maggio

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Non li voglio vedere.
Stanno preparando il vestito buono per la festa.
Passeranno la notte a lustrarsi le piume.
E domani, l’uno dopo l’altro,
con una faccia
che definire di bronzo è un eufemismo,
correranno da una parte all’altra della penisola
cercando i riflettori della tivvù,
il microfono dei giornalisti,
per inondarci della loro vomitevole retorica
su twitter, facebook, e in ogni angolo della rete;
loro, tutti loro, gli assassini di Falcone,
di sua moglie e degli agenti di scorta,
saranno proprio quelli che ne celebreranno la memoria.
Firmandola. Sottoscrivendola.
Faranno a gara per raccontarci
come combattere ciò che loro proteggono.
Spiegheranno come custodire
l’immensa eredità di due magistrati coraggiosi;
loro, proprio loro che ne hanno trafugato il testamento,
e alterato la firma,
Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi.
Ci sarà anche chi oserà versare qualche calda lacrima,
a suggello e firma dell’ipocrisia di stato,
di quel trasformismo vigliacco e indomabile
che ha costruito nei decenni
la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza,
l’humus naturale dal quale tutte le mafie attive
traggono i profitti delle loro azioni criminali.

Domani, non leggerò i giornali,
non ascolterò le notizie,
non seguirò i telegiornali,
e men che meno salterò come una pispola allegra
da un mi piace all’altro su facebook
a commento di striscette melense e ipocrite
che inonderanno la rete
con una disgustosa ondata di piatta e ipocrita demagogia
uccidendo ancora Falcone, la moglie,
Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte.
E io non voglio farne parte.

Seguitano a ucciderli ogni giorno,
nella società civile e in parlamento.
Per questo vogliono museizzarli,
trasformandoli in una specie di santino
da usare ad ogni buona occasione.
Perché sono proprio loro gli eterni assassini,
questa è la verità,
altrimenti non ci ritroveremmo, trent’anni dopo,
nella stessa identica situazione di allora.

Domani, vestiti a festa,
faranno a gara a chi li commemora e piange di più.
Tutti i funzionari pubblici della repubblica,
anche quelli del più piccolo e povero comune,
tutti quelli che hanno preso tangenti
privilegiando l’interesse personale
a quello del bene pubblico,
sono quelli che seguitano ogni giorno ad assassinare
Giovanni Falcone, sua moglie,
Paolo Borsellino e gli agenti della scorta.
Quelli che hanno reso vana e vacua la loro morte.
Gli imprenditori che partecipano alle gare
sostenendo che bisogna pagare le tangenti
se si vuole sopravvivere sul mercato.
I direttori editoriali responsabili delle case editrici,
delle società di produzione cinematografica,
televisiva e radiofonica,
che riconoscono e accolgono come autori
solo persone presentate, suggerite, spinte ,
imposte dalle segreterie dei partiti politici
che poi provvederanno a fornire i loro buoni uffici
facendo piovere su di loro sovvenzioni statali
pagate con le nostre tasse.
Loro, nessuno escluso, sono gli assassini

Io non li voglio vedere.
Non voglio vedere le loro facce ipocrite.
Sono assassini tutti quelli, nessuno escluso,
che dicono “lo fanno tutti, che cosa ci vuoi fare?”.
Così come lo sono tutti coloro che si trincerano
dietro il “ma io ho una famiglia”,
tutti i cittadini italiani che nel silenzio, nella privacy,
nel segreto della cabina elettorale,
mettono una crocetta su un certo simbolo,
su un certo nome,
perché sanno che quella lista e quella persona,
domani, a elezioni avvenute (e vincenti)
risolveranno il problemino,
daranno il posto al figlio, o alla sorella.

Sono decine di milioni
Perché la mafia non è una persona,
non è una cosa astratta.
La mafia è un’idea dell’esistenza.
La mafia è una interpretazione della vita,
e chi vi aderisce è un mafioso.
Anche se non lo sa.
Anche se non se lo vuole dire, sempre mafioso è.

L’intera classe politica di questo paese,
intellettuale, mediatica, imprenditoriale,
ha partecipato al processo di delegittimazione
di Giovanni Falcone, isolandolo, diffamandolo,
voltandosi dall’altra parte
quando sapevano che stavano arrivando i killer.
Così come fecero con Paolo Borsellino
e con tutti coloro che ebbero l’ardire
di armarsi di coraggio
e combattere contro la mafia attiva.
Le stesse persone che allora scelsero di non guardare,
oggi sono in prima fila a commemorarne la scomparsa.
Sono tutti loro i veri assassini.
Io non li voglio né vedere né ascoltare.

Perché i dirigenti mafiosi sono affaristi,
e non corrono il rischio di mettersi nei guai
uccidendo gli affari, se non sanno di avere
un territorio amico che li sorregge.
La mafia, di per sé, non esiste, esistono i mafiosi.
La mafia è la somma dei singoli comportamenti
che ne determinano l’esistenza.
E noi siamo un paese con troppi mafiosi.
Non è uno stereotipo, è la tragica realtà
con la quale noi tutti dobbiamo a fare i conti.

Ogniqualvolta un cittadino italiano
rinuncia ad esercitare il libero arbitrio,
e rinuncia all’ambizione e al tentativo,
anche se estremo e disperato ,
di farsi valere per i propri meriti,
per le proprie competenze tecniche,
privilegiando la facile e sicura strada
della mediazione politica e della malleveria,
la scorciatoia del sistema del malaffare,
il registratore di cassa della mafia segna un incasso.
Perché sa che, domani,
quel cittadino sarà un mafioso sicuro.
Anche se non lo sa.
È una porta alla quale andranno a bussare,
sicuri che verrà subito aperta.
Loro, lo sanno benissimo, che è così.
Lo sappiamo tutti.

Io non li voglio vedere i loro telefilm celebrativi
interpretati da attori raccomandati,
prodotti da aziende mafiose,
e distribuiti alla nostra visione
da funzionari mafiosi in doppiopetto.
Domani, dedicherò la giornata
al tentativo di ripulirmi spiritualmente,
cercando di fare ordine interiore,
per eliminare ogni residuo di retro-pensiero mafioso,
che alligna dentro di me,
come dentro la mente di ogni singolo italiano,
anche quando non lo sa.
Perché il paese è così.
Altrimenti, non staremmo, dopo tanti lunghi anni,
e una caterva di governi inutili,
nella stessa identica situazione di allora.
NO. Non verrò. Non ci sto.

Elaborazione in versi e sintesi di un testo prosastico rinvenuto sul blog di Beppe Grillo il 22.5.2012 a firma Sergio Di Cori Modigliani

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