Caso Maniaci: la difesa presenta il ricorso contro la proposta delle misure cautelari

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È stato presentato dagli avvocati della difesa di Pino Maniaci, Antonio Ingroia e Bartolo Parrino il ricorso contro il ricorso con cui il 30 maggio 2016 il P.M. aveva rigettato la richiesta cautelare disposta dal GIP, e pertanto il tribunale per il riesame dei provvedimenti cautelari ha deciso di riproporre le suddette misure, consistenti nel divieto di dimora.

Intanto ci vorranno dei mesi prima che si aspetti la sentenza, che presumibilmente ripristinerà per Maniaci il divieto di soggiorno. Sulla fragilità di queste accuse abbiamo già da tempo parlato. Rimane un dubbio: se le misure sono state disposte affinché l’imputato non potesse ripristinare il reato, perché farlo tornare per alcuni mesi nel suo paese e permettergli di reiterare il reato lasciandolo a casa? Man mano che il tempo passa ci si rende conto di trovarsi davanti a una grande operazione il cui obiettivo è la chiusura dell’emittente Telejato. costi quello che costi. E pertanto sono state portate in atto tutte le mistificazioni, gli abusi di potere, le intimidazioni, i montaggi di ritagli di intercettazioni, la costruzione di reati  su comportamenti che non hanno nulla di illegale e che si ripropongono la distruzione dell’immagine del “pregiudicato sulla base di una sola precipitosa affermazione che suona come condanna prima della sentenza processuale: “Non abbiamo bisogno dell’antimafia di Pino Maniaci”.

Possiamo tranquillamente anticipare che il responso del tribunale del riesame sarà positivo, perché o giudici difficilmente smentiscono l’operato dei loro colleghi, e che Pino Maniaci sarà allontanato di nuovo, secondo una linea d’azione che sembra nascondere un sottile “fumus persecutionis”

Tutto ciò malgrado il sindaco di Partinico, in consiglio comunale, sotto l’occhiuta presenza di un rappresentante dei Carabinieri, abbia dichiarato di non essere mai stato estorto da Pino Maniaci, malgrado il consigliere comunale di Borgetto Polizzi abbia dichiarato di non avere ricevuto né dato l’equivalente per duemila magliette, cioè abbia negato l’episodio attribuito a Maniaci per motivare la  seconda motivazione   di richiesta per il divieto di soggiorno. Quindi una registrazione sospetta tra il sig. Polizzi che ha a suo merito quello di essere compare di un carabiniere, in cui si dice tutto e non si dice niente e la mancata audizione del destinatario della telefonata, ovvero l’ex sindaco di Borgetto Davì. Per arrivare alla balorda conclusione che l’affermazione di Maniaci “viri ca ti tappiu”, cioè, “vedi che non ti pago” sia un’anticipazione di un’estorsione che non è mai avvenuta.

Intanto quattro dei nove mafiosi associati a Maniaci sono tornati a casa, si attende la chiusura delle indagini che avrebbe dovuto essere fatta entro il 15 luglio e che sono invece ancora aperte, dopodiché ci sarà un improbabile proscioglimento o un più che probabile rinvio a giudizio senza che la posizione di Maniaci sia stralciata, come chiesto dai suoi legali, da quella dei mafiosi borgettani, con cui non ha nulla a che fare.

E finalmente, quando subentrerà il GUP costui deciderà se procedere a un giudizio immediato, che consentirebbe di saltare una serie di passaggi per andare subito a condanna, o di aprire un processo ordinario, che consentirebbe agli avvocati di potere interamentemandare avanti la linea di difesa con l’ascolto dei propri testimoni.

E infine la condanna: per 480 euro più IVA “tappiati” al sindaco di Borgetto, quattro mesi, per 50 euro “tappiati” al sindaco di Partinico per darle a una ragazza che ne aveva bisogno, altri quattro mesi, per le magliette mai fatte assoluzione.

Dopodiché ci sarà un altro appello, sino ad arrivare, dopo alcuni anni, alla prescrizione, secondo un gioco ormai noto a cani e gatti, che è quello di tenere le persone “in attesa”, di cucinarle a fuoco lento, affinché abbiano ben chiaro che c’è chi comanda e chi deve obbedire. Tutto come da copione. Ma il risultato che si voleva conseguire c’è già stato: buttare una secchiata di fango su una persona diventata scomoda, e additarlo al pubblico ludibrio. Il tutto in nome della giustizia.

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