Alla ricerca del lavoro perduto

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È cominciata, qualche anno fa, con i 200 lavoratori della Sicilfiat di Termini e procede inesorabilmente.

Non faremo l’elenco delle infinite aziende che in Sicilia hanno chiuso in questi ultimi anni. Responsabile in parte la crisi, in parte le sciagurate scelte governative, secondo le quali la Sicilia è l’ultima ruota del carro, buona solo per procurare voti a chi sta al governo, non parleremo del “sonno della Regione”, che genera mostri, a partire dal suo presidente Crocetta e dalle sue strane alchimie politiche utili solo a divisioni millimetriche della torta a disposizione. Oggi sta toccando ai 500 operai del petrolchimico di Gela, che con l’indotto diventano mille famiglie, presi per il culo dall’ENI, che aveva loro promesso la riconversione dell’azienda e che sono stati invece abbandonati a se stessi. E come non parlare del centinaio di persone che lavoravano per Grande Migliore o dei 200 che lavoravano per Li Volsi, alias Max Living? Intorno c’è il deserto, sia come perdita di posti di lavoro, sia come abbandono dell’agricoltura, non essendoci alcuna politica del territorio e di sviluppo delle attività produttive. L’unica cosa in costante aumento sono i rifiuti, che dilagano per le strade e che si cerca di dirottare verso la discarica dell’amico di Confindustria Catanzaro a Siculiana. Oddio, in aumento  c’è anche la disoccupazione, ci sono i migranti che arrivano a frotte ogni giorno, c’è l’eroina che, grazie a un raccolto eccezionale sta invadendo tutta l’Italia, per opera della mafia e della ndrangheta che, pur di far soldi non si fanno scrupoli a commerciare con i terroristi dell’Isis, ormai padroni della produzione e del traffico non solo del petrolio, ma anche dell’oppio. Altro che ripresa. Renzi ha poco con cui sciacquarsi la bocca, raccontando favole o agitando illusioni che non esistono. La disoccupazione è ormai, per i giovani, a livello del 50% ed è un costante esodo di laureati e diplomati che lasciano la Sicilia in cerca di luoghi dove sia possibile lavorare, vivere, organizzare la propria vita.

Un’altra ondata di perdite di posti di lavoro è causata dai continui sequestri operati dall’ufficio misure di prevenzione, con l’accusa, spesso giudizialmente indimostrata, di operazioni illegali fatte con investimenti mafiosi: si parla di circa 80.000 posti andati in fumo, anche a causa del fallimento delle aziende, date in mano ad amministratori giudiziari incompetenti o disonesti.

Bloccate le trivellazioni, perché gli ambientalisti non le vogliono, in crisi la pesca, perché è più facile fare allevamenti ittici,  rimane l’ultima risorsa, il turismo, con prezzi  dei resort o delle strutture alberghiere che, nonostante la crisi, possono permettersi solo i nuovi ricchi, quell’uno per cento che possiede la metà della ricchezza del pianeta, ma che preferisce, anziché venire a Palermo, spassarsela ai Caribi, alle Canarie o a Dubai, a meno che i terroristi non facciano loro paura.  In questo mare di disoccupati, inoccupati, licenziati, sfrattati, c’è il problema più grosso degli “over 40”, cioè di coloro che hanno perso il posto di lavoro dopo aver passato i quarant’anni e che non trovano alcuna possibilità, perché tutti gli imprenditori preferiscono assumere, come apprendisti, giovani da pagare con il minimo e da sfruttare senza che questi avanzino pretese.

Citavamo il caso degli operai della Li Volsi, messi in mobilità, illusi, riempiti di promesse e lasciati a casa senza che sappiano cosa mangeranno a pranzo o cosa dar da mangiare ai figli. Ma potremmo parlare di quelli della 6GI.DI.0, ai quali si sbandiera sotto il naso la possibilità che qualche grossa catena straniera possa investire e riassumerli, ma non è vero, per non parlare di quelli dei supermercati palermitani, una volta del mafioso o presunto tale Giacalone, poi finiti nelle mani dell’amministratore giudiziario Lucio Geraci che, seguendo le tracce del suo maestro Cappellano Seminara, è stato capace di mandar tutto in fallimento, a parte i pochi posti dove ancora lavorano quelli che egli stesso ha fatto assumere.

Davanti a questo deserto la domanda è sempre quella: possibile che in questa Sicilia non ci sia speranza?

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