1917: Fucilato per non avere spento il sigaro

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Il 3 novembre 1917 veniva fucilato l’artigliere Alessandro Ruffini

45403664_10217764534374725_3270693483681153024_nIl 4 novembre, anniversario della battaglia di Vittorio Veneto, è diventato anche giornata delle forze armate. In una giornata di celebrazioni è opportuno ricordare quello che c’è stato dietro la condotta dell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale. Una infelice gestione militare che condusse alla disfatta di Caporetto, una disinvolta scelta di mandare i soldati all’assalto sulle pietraie del Carso, e lasciarli falcidiare dalle mitragliatrici austriache, una concezione balorda dell’autorità e della disciplina militaresca, e una dotazione militare insufficiente e poco idonea di divise, scarpe, armi e cibo. Insomma, una guerra da straccioni che Giolitti non voleva, ma che venne fatta con una sorta di colpo di mano, ovvero con la stipula del Patto di Londra, da parte di Salandra, all’insaputa del parlamento.

Basta solo il ricordo di un episodio: il 3 novembre 1917 a Noventa Padovana, venne fucilato l’artigliere Alessandro Ruffini (29 gennaio 1893-3 novembre 1917), colpevole di aver salutato militarmente il gen. Graziani senza prima essersi levato di bocca il sigaro che stava fumando. Ruffini fu prima brutalmente bastonato e successivamente fucilato “per dare un esempio terribile atto a persuadere tutti i duecentomila sbandati che da quel momento vi era una forza superiore alla loro anarchia”, come affermò lo stesso Graziani in risposta ad alcune proteste e interrogazioni parlamentari sollevate a seguito della pubblicazione della notizia della fucilazione di Ruffini. Il generale, che fu uno dei massimi sostenitori del fascismo e della politica in favore dei grandi proprietari e agrari fu trovato morto sui binari nel tratto Prato-Firenze nel 1931: la causa della morte non fu mai accertata. L’episodio serve a dare un’idea del clima di terrore con il quale il gen. Cadorna e i suoi tanti militari condussero le operazioni militari della prima guerra mondiale. Una delle pratiche era quella della “decimazione”, usata dai Romani: si faceva la conta dei soldati schierati e ogni uno su dieci veniva fucilato “per dare l’esempio”. Solo che i Romani la usavano per i nemici, Cadorna invece per i suoi soldati. Non si contano le fucilazioni di socialisti, sospettati di simpatie repubblicane, anarchici, semplici vittime del trattamento disumano cui erano sottoposti, ove osassero protestare, non si contano i disertori incapaci di adeguarsi a questo feroce modo intendere la disciplina militare. 

Per fortuna, sostituito Cadorna, con Diaz e Boselli con Vittorio Orlando, che richiamò in guerra i diciottenni della leva del ’99, abbiamo vinto l’ultima battaglia, ma abbiamo ottenuto meno di quanto ci era stato promesso dagli alleati, in quella che il Fascismo chiamò la “vittoria mutilata”.

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