Lettera a Giovanni Falcone

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Caro Giudice Giovanni Falcone,

Sono passati quasi ventiquattro anni dall’ultima volta che le scrissi e oggi come allora, sento la necessitàlettera e soprattutto ritrovo lo spirito per scriverle nuovamente. Purtroppo, so già che questa volta non potrà rispondermi perché è stato barbaramente assassinato per colpa di chi non ha saputo o non ha voluto proteggerla! Nella sua lettera di risposta, allora, mi scrisse una frase che ha lasciato un segno indelebile nella mia esistenza: “Continui a credere nella giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali”. Avevo ventiquattro anni e appena laureato ho seguito il suo invito e ho iniziato a parlare di legalità e di giustizia ai giovani. Era il lontano 1992.

È stato fino ad oggi un viaggio entusiasmante che mi ha fatto incontrare una moltitudine di studenti grazie anche ai miei incarichi d’insegnamento nelle Università italiane. Ho vissuto in quegli anni, orrendi e meravigliosi al tempo stesso, un clima sano, insegnando a ragazzi spensierati che si volevano bene, che amavano la giustizia e che erano felici di voler conoscere e approfondire la realtà che li circondava. Il clima di cui parlo era quello della “Primavera di Palermo” dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Vibravano nell’aria ancora le sue idee e quelle del suo migliore amico, Paolo Borsellino. Oggi mi sento soddisfatto – anche se in solitudine e tra mille ostacoli – nel continuare a portare avanti una straordinaria battaglia di civiltà, di giustizia e di moralità, affinché le nuove generazioni possano formarsi una
coscienza libera da pregiudizi, ragionando autonomamente, evitando di diventare schiavi della falsa informazione e avendo voglia di ribellarsi alle ingiustizie.

Un anno fa, ho fondato una Scuola di Legalità intitolata a don Peppe Diana, un sacerdote di Casal di Principe brutalmente ucciso dalla camorra probabilmente per gli stessi motivi per i quali hanno ucciso lei. Mi auguro, con questo nuovo progetto educativo, di poter rivivere anche con i giovani d’oggi una nuova rivoluzione culturale come quella che negli anni novanta ci fu a Palermo. Da molto tempo sento nel mio cuore un forte impulso che m’induce a doverle chiedere profondamente scusa per ciò che è accaduto dopo la sua morte. Per i nostri politici che dicendo di agire nel suo nome, stanno facendo ciò che lei non avrebbe neanche lontanamente immaginato di fare. Per l’omertà, per i silenzi, per le complicità che ancora esistono. Per il totale immobilismo dello Stato che sembra voler cambiare tutto per poi non cambiare assolutamente nulla. Per la demolizione della nostra Costituzione, della scuola, della giustizia, della lotta alla mafia, alla quale, lei e Borsellino avete dedicato buona parte della vostra vita sacrificando gli affetti più cari.

Nonostante queste situazioni, a dir poco drammatiche, le confermo che continuerò senza sosta a portare avanti il mio impegno. Forse sembrerà banale ma ciò che provo nel mio cuore in questi giorni sento di volerlo condividere con lei. Non ho mai ritenuto che fosse un eroe, perché credo sia triste un Paese che abbia bisogno di eroi, ma certamente è un esempio da seguire, per me, per i miei figli e spero anche per le nuove generazioni. Manterrò fede a ciò che promisi al giudice Antonino Caponnetto: “… lottare per una Nazione diversa, all’insegna della legalità e della giustizia, non restando a guardare ma educando, soprattutto i più giovani, ai valori sani del rispetto, dell’onestà e della dignità”.

Per onorarla come merita, dobbiamo stare dalla parte della legge e camminare a testa alta, lontani dalla corruzione e vicini al senso del dovere. Grazie, per non essersi mai arreso e per aver fatto il suo dovere fino in fondo. Spero tanto di poterle riscrivere tra venticinque anni e dirle che la mafia non esiste più, purtroppo, con grande rammarico devo dirle che oggi è più forte di prima e come aveva previsto, è al potere in simbiosi con la politica. In tutta questa melma che circonda l’Italia, tuttavia, le confesso che pensando a lei e al suo sacrificio, sono ancora fiero di essere italiano.

Con grande affetto e immutata stima.

Vincenzo Musacchio

Tratto da: www.lavocedinewyork.it

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