Ciao Riccardo. Continuiamo a camminare insieme…

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Ce l’ha fatta. Ce l’abbiamo fatta.

Le trentamila firme raccolte hanno finalmente smosso chi doveva occuparsene e Riccardo Orioles è stato “mandato in pensione”. Attenzione, non è che ce lo toglieremo dai co….., come a qualcuno farebbe piacere. Diciamo che gli è stata data una pensione, o, più correttamente un vitalizio per potere trascorrere un po’ più serenamente i suoi giorni. E, diciamolo francamente, ne aveva bisogno. Perchè Riccardo si è sempre occupato di leggere quello che gli passava attorno, di analizzarlo con la sua lente che ne scopre i particolari più nascosti e scomodi e di scriverlo senza peli sulla lingua. Non so, conoscendo un po’ il tipo, come la prenderà e se resisterà alla voglia di mandare tutto a quel paese.

Di fatto è un riconoscimento “prestigioso”, quello della legge Bacchelli, che, dal 1985, ha istituito un fondo a favore di cittadini illustri che si trovino in stato di particolare necessità. Si chiama così in ricordo dello scrittore Riccardo Bacchelli, che avrebbe dovuto esserne il primo beneficiario, ma che morì poco dopo della concessione del vitalizio.

Nel comunicare la notizia, Claudio Fava, che con lui ha condiviso l’esperienza de “I Siciliani”, ha scritto sul suo blog: “Oggi, 21 marzo, giornata della memoria: che per una volta non è solo esercizio della memoria ma si fa cronaca e storia. Per la prima volta una vita spesa per scrivere sulle mafie e sui suoi innominabili amici è considerata titolo di merito civile, non di solitario accanimento. Con Riccardo, quel merito lo assume una generazione di giornalisti e di cittadini che in questi 35 anni hanno avuto il coraggio di schierarsi, di resistere, di non arretrare mai. Con lui oggi ci sono “I Siciliani”. E c’è anche il segno di Giuseppe Fava che quel giornale volle e che non fu mai solo un giornale. Un pensiero – mi sia concesso – va anche a chi, durante questi anni, ha inutilmente cercato di soffocare quella storia fingendo che non fosse mai esistita. Le ragioni dell’indecenza hanno sempre il fiato sporco e corto”.

Ma chi è Orioles? Nato a Milazzo, il 22 dicembre 1949 ha cominciato già da giovanissimo a scrivere nei giornalini impegnati della sua zona e a lavorare presso le radio libere locali. Il salto di qualità avviene nel 1982 quando conosce Giuseppe Fava e con lui dà vita all’indimenticabile esperienza de “I Siciliani”, un mensile a colori che scopriva il velo della Catania bene, denunciava gli intrecci tra massoneria, mafia e politica con inchieste rigorose e documentate. Con lui un gruppo di ragazzi con il giornalismo nel sangue e tanta voglia di scrivere e gridare quello che ufficialmente si voleva nascondere in Sicilia: Elena Brancati, Cettina Centamore, Claudio Fava, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza,, Nello Pappalardo, Giovanna Quasimodo, Fabio Tracuzzi e Lillo Venezia.,Antonio Roccuzzo, Giuliana Rasera, Graziella Proto. Quell’esperienza, durata un anno, che la mafia aveva deciso di chiudere uccidendo Giuseppe Fava nel 1983, continuo grazie all’impegno di Riccardo e di alcuni suoi compagni, ebbe lunghe pause, fu ripresa, direttore Orioles dal 1993 al 1995, è stata poi, sempre per iniziativa ostinata di Riccardo, ripresa a partire dal 2011, prima in cartaceo, adesso online con la testata “I siciliani giovani” che ancora oggi raccoglie il meglio del giornalismo antimafia. Tra una serie di problemi economici, sino ad arrivare al pignoramento, Riccardo, dal 2006 ha fondato e dirige il mensile Casablanca e, dal 1999 ha curato e diffuso l’e-zine gratuita “La Catena di San Libero” . E’ stato anche uno dei fondatori del settimanale Avvenimenti e caporedattore dello stesso fino al 1994.

Ma c’è una cosa di cui pochi parlano, alcuni fingendo di ignorarla, è che Orioles dal 2006 è il direttore responsabile di Telejato, dopo l’abbandono di Francesco Forgione, nominato in quella data Presidente della Commissione Antimafia. Ha seguito tutta la vicenda che ha coinvolto prima l’ufficio misure di prevenzione del tribunale di Palermo diretto da Silvana Saguto, poi le vicende giudiziarie di Pino Maniaci, ed è stato tra i pochissimi a non associarsi al coro di facili condanne cantato dai giornalisti italiani. Ha condiviso pertanto le varie denunce per diffamazione piovute sul capo di Maniaci, ma anche su quello di chi sta scrivendo, dando carta bianca e non cambiando una virgola di quello che abbiamo pubblicato.

E quindi un giornalismo di frontiera, una linea di riferimento, che è quella della lotta alla mafia e al malaffare che ci sta dietro, una penna che scrive con maestria, con la melodia di uno strumento musicale, o con l’urlo di un lupo solitario, attraverso una perfetta padronanza delle tecniche comunicative.

Riccardo Orioles è anche autore di due preziosi libri: “Allosanfan” (Melampo editore), “in cui racconta le vicende più incandescenti degli ultimi decenni, nella Sicilia che vive le tragedie della mafia e le farse del potere. E poi, l’Italia che passa da prima a seconda Repubblica e che si divide come in un derby impazzito sui giudici e sulla legalità. O che scopre il razzismo nella sua pancia ormai”. L’altro libro è “Memoria” (edizioni Mar di ponente), una serie di flash dal 1986 al 2005, cioè in una fase in cui “oltre a scrivere poesie racconti e fiabe c’era pure da combattere la mafia, mettere in piedi giornali di sinistra, dar fastidio ai caporioni di allora, organizzare movimenti e partiti, scoprire nuovi modi di fare giornalismo e tutto il resto. È stata una faccenda abbastanza complicata perché a quei tempi i poeti non erano, come adesso, finanziati dal Pianeta e non lo erano nemmeno i giornalisti di sinistra – non almeno quelli seri. In piu’, c’era da organizzare un casino di traslochi, dapprima da una casa all’altra, poi da una casa a una camera d’affitto e infine da una camera d’affitto alla strada”.

Con la sua pipa, la sua barba arruffata, il suo arrancare con il bastone, il suo cappello d’altri tempi e il suo vestiario demodè, Riccardo è un personaggio unico, uno dei tanti figli di quella Sicilia capaci di esprimere sentimenti, narrare storie, organizzare lotte e agitazioni, a cui la mafia non è riuscita a chiudere la bocca. Uno che si porta dentro e che ha scritto sulla sua testata giornalistica la frase di Giuseppe Fava: “A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare”?
Ciao Riccardo, in compagnia di Pippo Fava e di Peppino Impastato ci aspettano ancora cento, mille, diecimila passi da percorrere insieme.

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