In pratica la mafia palermitana starebbe attraversando una fase di transizione affidata al controllo di gerarchi d’onore che con il loro prestigio tentano di temere a freno le giovani teste calde attraverso “una politica di basso profilo e di mimetizzazione che nasconde comunque “una notevole potenzialità offensiva”. Teoricamente il capo dei capi è sempre Totò Riina, e ciò dimostra come i vari “cancaroni” locali non abbiano trovato ancora un uomo dalla caratura criminale e dall’autorevolezza, in grado di sostituire il vecchio boss. Le varie famiglie agiscono in complessiva autonomia ed esiste solo un organismo provinciale provvisorio composto in buona parte da vecchi boss che hanno scontato la pena e che si limita a funzioni di consultazione e di raccordo, tant’è che nella relazione è definita una “cupola anomala”, “una stanza di compensazione in cui sanare momenti conflittuali suscettibili di degenerare”.
C’è un passaggio invece che sembra calato su alcune sotterranee manovre che si muovono nelle microeconomie locali, soprattutto nel settore “agro-silvo-pastorale”, Partinico compresa, come “l’imposizione di mezzi di trasporto, la macellazione clandestina, le estorsioni ai danni di imprenditori agricoli, la falsificazione di etichettature, le imposizioni sulle cassette per imballaggio e anomale lievitazioni dei prezzi di vendita, attribuibili a intermediazioni fittizie svolte da commissionari direttamente nella fase di stoccaggio e di distribuzione”. Ecco, su queste nascoste e abili gestioni di piccoli affari, che impediscono il decollo di un’economia sana, a partire da una seria indagine su tutta la catena di distribuzione e di commercializzazione dei prodotti, ci sarebbe da aprire una pagina seria, sia dall’aspetto dell’intervento politico che da quello investigativo, perché si tratta di economia primaria, dalla quale, sul lavoro di un singolo, come ad esempio un coltivatore, mangiano una serie di persone il cui lavoro ha ben poco a che fare con il sudore di chi ha prodotto il bene di consumo. Non serve infatti ipotizzare o denunciare un reato se non ne segue un intervento repressivo che vi metta fine.
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