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Volete sapere l’ultima? Secondo Rosy Bindi, Maniaci “si serviva della mafia”

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Mercoledì 14 giugno è stato ascoltato dalla Commissione Antimafia il procuratore capo del tribunale di Caltanissetta Amedeo Bertone e, insieme a lui i giudici Lia Sava, Gaetano Paci, Cristina Lucchini, Stefano Luciani. Una parte della seduta è stata segretata, gli atti di una parte sono invece stati resi noti.

Facciamo riferimento, per quel che ci riguarda ad alcuni passaggi:

PRESIDENTE. (Rosy Bindi):

Faccio due domande e poi vi lascio. La prima è questa. Sappiamo che anche questa volta è stato merito di Caltanissetta, perché credo sia partito tutto da voi. Tuttavia, come è possibile che questo sistema – è chiaro che lo era – si sia potuto costruire, realizzare e andare avanti per anni Pag. 54senza che nessuno se ne sia accorto? Vi chiedo se vi siete fatti un’idea di questo. L’altra domanda è quella che si fa il cittadino comune. Quante altre persone nella stessa posizione di Silvana Saguto sono già in carcere? Siccome riteniamo che non avete fatto dei favori a nessuno, la domanda che ci facciamo è perché non c’erano gli elementi per misure restrittive.

CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore.

Parto da questa seconda domanda per arrivare alla prima. Noi ci siamo posti fin da subito il problema dell’eventualità di chiedere una misura cautelare personale. Il momento in cui chiederla, ovvero in cui c’erano le esigenze cautelari attuali, sarebbe stato settembre 2015.

In quel momento, però, non disponevamo dei gravi indizi di colpevolezza, perché avevamo soltanto delle emergenze che provenivano dall’attività tecnica, che andavano riscontrate e approfondite, con tutto quel compendio di documenti che sono stati analizzati nell’arco di molti mesi e, soprattutto, con tutti i riscontri legati alle acquisizioni della documentazione bancaria e contabile, che sono stati fondamentali.

Inoltre, sono state sentite circa 150 persone. Spesso si è trattato di atti che duravano intere giornate, con amministratori giudiziari, su questioni molto tecniche e complicate. Questa attività di riscontro e di approfondimento ha richiesto molti mesi.

In questi mesi, altri organi istituzionali si sono fatti carico della cautela. Penso, per esempio, all’azione predisciplinare o, comunque, all’attività della procura generale e soprattutto del Ministero della giustizia e dell’ispettorato. Infatti, è stata disposta un’ispezione mirata.

Non solo il trascorrere del tempo, quindi, ma l’iniziativa solidale di altre istituzioni, che hanno creduto immediatamente nel lavoro della procura di Caltanissetta, ha determinato la sospensione della dottoressa Saguto dal suo incarico e i trasferimenti degli altri colleghi coinvolti (se vorrete potremo soffermarci anche sulla loro posizione, anche se è veramente marginale rispetto a quello che è emerso a carico della dottoressa Saguto).

All’esito, quando abbiamo avuto i gravi indizi di colpevolezza – poco prima di depositare il sequestro, cioè nel tempo di finire di scrivere, il che è servito per mantenere ordine nelle indagini – ci siamo riuniti più volte, ci siamo guardati in faccia e abbiamo condiviso che non c’erano gli elementi per chiedere una misura personale.

Avevamo tutto pronto. Avremmo potuto aggiungere, nella parte finale, che chiedevamo anche delle misure restrittive, ma onestamente non ritenevamo che le esigenze cautelari fossero attuali. Questa è la risposta. In sostanza, quando c’erano le esigenze cautelari attuali, non c’erano i gravi indizi. Nel momento in cui abbiamo avuto solidi gravi indizi di colpevolezza – anche nel sequestro, non ci siamo mai espressi in termini di fumus, ma abbiamo voluto, per la delicatezza degli accertamenti, parlare di gravi indizi di colpevolezza – e questo è stato confermato non solo dal GIP nella convalida, ma anche dal tribunale del riesame, perché entrambi i vari vagli provenuti dai giudici si sono espressi in termini di gravi indizi di colpevolezza, abbiamo preferito ricostruire quello che era successo.

Le misure restrittive, però, ci sembravano inutilmente afflittive. Peraltro, ci siamo detti più volte che l’idea che abbiamo della nostra funzione è quella di essere filtro della giurisdizione. Allora, in un’ottica pacata di favor per le persone sottoposte alle indagini, ci è sembrato inutile perché non c’erano i presupposti per chiedere una misura personale. Pag. 56

Questo sulla misura, per quanto riguarda il sistema, l’idea che ci siamo fatti è che i magistrati – questo, però, riguarda non solo l’incarico e il ruolo di giudice delegato nelle misure di prevenzione, ma può riguardare anche altri incarichi – non hanno la preparazione per interloquire fondatamente con dei professionisti quali gli amministratori giudiziari nella gestione di compendi in sequestro.

Il sistema, per come è strutturato, si fonda, di fatto, sulla capacità di controllo del giudice delegato sulle attività di amministratori giudiziari e sulla onestà degli amministratori giudiziari nella gestione dei compendi in sequestro. Ci sono, dunque, variabili troppo fragili per consentire una gestione improntata a criteri di legalità e di efficienza.

Questo è il presupposto. Dovremmo fare un’analisi spietata e onesta e dire che forse noi, come magistrati, non abbiamo le competenze per svolgere quella funzione. Questo non riguarda l’indagine. Visto, però, che lei ci ha chiesto come mai è stato possibile, dico che è perché si è lasciato tutto all’onestà, in questo caso alla disonestà, del presidente della sezione misure di prevenzione. Poi, quando si sono avvertiti i primi scricchiolii, perché sono iniziate le prime denunce, la reazione è stata – mi permetto di dirlo, credo anche della Commissione antimafia – di incredulità e di difesa netta dell’operato della sezione misure di prevenzione.

Noi abbiamo chiesto gli atti delle audizioni. Li abbiamo letti, esaminati, studiati e abbiamo preso spunto per fare degli accertamenti ulteriori sulle procedure che erano state citate. Poi, si pone il problema dei controlli interni al tribunale di Palermo, a fronte delle prime denunce che arrivavano. Insomma, si è creata una specie di congiuntura, per cui era quasi impossibile intaccare quello che sembrava un santuario.

Allora, rispetto a queste barricate che erano state erette sull’operato della sezione misure di prevenzione, il tempo ha giocato a favore per la costruzione di questi due rapporti corruttivi, che poi si sono sviluppati nei rapporti associativi che abbiamo cercato di delineare. Le responsabilità, o comunque le ragioni, per le quali si è creato questo sistema – quello che si è accertato è soltanto per la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo – sono molteplici.

PRESIDENTE.

Una domanda che ogni tanto ci viene fatta, e che fa parte anche delle interpretazioni che girano: il ruolo di Telejato c’è stato nell’inizio del procedimento o no?

CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore.

La risposta secca è no. Abbiamo parlato dell’origine dell’indagine. Il procuratore faceva riferimento alla trasmissione di atti dalla procura di Palermo. In sostanza, la procura di Palermo ha trasmesso, a distanza di pochi giorni, nell’aprile 2015, il fascicolo a carico di Walter Virga, quindi alla gestione della procedura Rappa, e degli atti relativi all’indagine, che all’epoca era coperta da segreto, a carico di Giuseppe Maniaci e di altri mafiosi. Non che Maniaci lo sia, ma era un’indagine DDA in cui compariva, a un certo punto, anche Giuseppe Maniaci.

PRESIDENTE.

Diciamo che si serviva della mafia…

CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore.

Comunque, ha trasmesso delle intercettazioni che erano state captate sull’utenza di Giuseppe Maniaci. Nel corso di queste intercettazioni telefoniche con i soggetti più disparati, Giuseppe Maniaci faceva riferimento – questo è ricostruito nel decreto di sequestro d’urgenza – al rapporto tra Silvana Saguto e Tommaso Virga in relazione a un procedimento disciplinare che Tommaso Virga, in quanto membro della consiliatura del CSM tra il 2010 e il 2014, avrebbe archiviato e, immediatamente dopo, la dottoressa Saguto avrebbe nominato il figlio di Tommaso Virga quale amministratore della procedura Rappa.

Palermo ci manda queste intercettazioni. Noi iscriviamo, anche alla luce di altri elementi nel frattempo raccolti, il dottor Tommaso Virga e iniziamo gli accertamenti anche su quel filone.

Detto questo, la figura di Giuseppe Maniaci emerge solo in quanto soggetto intercettato, quindi i suoi servizi non hanno avuto alcun peso e alcuna considerazione nell’indagine che abbiamo svolto.

Leggi la replica di Pino Maniaci QUI (Rosy Bindi, si dimetta e chieda scusa)

Nota del 5 luglio 2017:

Per un estremo scrupolo abbiamo voluto sentire chi era presente all’audizione della Commissione Antimafia e ci è stato detto, da chi ha sentito con le sue orecchie, che in quella frase manca il punto interrogativo, era un quesito che la Bindi poneva al giudice Lucchini, la quale, proprio nel rigo superiore, un momento prima, aveva precisato che Maniaci con l’indagine sulla mafia di Borgetto non c’entra e c’è finito solo nel contesto di un’intercettazione. Pertanto si tratterebbe di un’insinuazione o di una domanda alla quale il giudice Lucchini non risponde perché aveva già risposto prima (Leggi di più…).

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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