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L’indifferenza divina e odiata

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L’indifferenza è un’arma a doppio taglio: “Odio gli indifferenti”, come scrive Gramsci, oppure “la divina indifferenza” di Montale. La privazione di qualsiasi entusiasmo, la decisione di astenersi da qualsiasi scelta, oppure “l’atarassia” epicurea come cosciente mancanza di preoccupazioni che possano disturbare la tua vita. E ancora, la dialettica che agita ogni coinvolgimento maturandone il momento della sintesi, che è tesi di un ulteriore    percorso, in un ritmo infinito, oppure la nottola di Minerva che esce al crepuscolo, per leggere il tutto che è compiuto.

Anche Lucrezio dice la sua: “È gradevole, quando nel vasto mare i venti sconvolgono le distese marine, da terra guardare il grande affanno di un altro; non perché sia una piacevole gioia il fatto che qualcuno sia travagliato, ma perché è gradevole vedere da quali mali tu stesso sia libero”. Per contro la condanna dantesca degli ignavi, “che visser sanza infamia e sanza lodo”, ai quali va riservata la stessa indifferenza che essi ebbero nei confronti della vita: “non ti curar di lor, ma guarda e passa”.

Il  problema non è di poco conto: la condanna gramsciana  del 1917 lascia pochi spazi:.” Odio gli indifferenti – Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera”……Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Non c’è dubbio che qualsiasi progetto politico, qualsiasi proposta dinamica, è destinata al naufragio, davanti all’indifferenza. Può verificarsi qualche subitaneo risveglio, qualche vaga presa di coscienza, ma presto tutto naufraga nel mare magnum  del non aver più nulla in cui credere, perché tutti sono uguali, o perché tutti sono ladri ecc. La scelta di non schierarsi, l’astenersi, molte volte nasce dal non trovare punti di riferimento credibili o nobili idee per cui  spendersi .

Il Nirvana rappresenta, secondo Schopenhauer, un oceano di pace, uno spazio luminoso di serenità , dove si dissolve lo stesso concetto di “io” e “soggetto”. Una posizione accessibile solo a chi è disposto a praticare l’ascesi, ovvero la cancellazione dei piaceri carnali e la considerazione dell’altro come frammento ed elemento di una fratellanza cosmica. A parte l’indicazione costante del non fare, onde evitare alla volontà la sua riproduzione attraverso  i suoi nascosti disegni che la spingono a servirsi di noi ,  la prospettiva ultima di questa scelta non è la felicità, ma il nulla ,l’annullamento del proprio essere. Di tuttaltro genere il significato di “volontà di potenza” elaborato da Nietzsche, che vede in essa  il senso dell’essere,  la vita intesa come forza propulsiva e  in costante superamento: in questo caso Nietzsche  non si ferma alla ricerca del piacere o all’istinto di sopravvivenza, ma alla spinta all’autoaffermazione, all’autopotenziamento, al superamento dell’uomo del passato  e quindi alla conquista della libertà creativa , della vita che costantemente ricrea se stessa nel ciclo dell’eterno ritorno.  Poco indulgente a momenti di stasi o di indifferenza è una completa valutazione di questo aspetto del marxismo, inteso come materialismo dialettico, e quindi come lotta di classe nel rapporto di sfruttamento che il datore di lavoro ha con i suoi dipendenti. Qua, ove esista un minimo di “coscienza di classe”, nessuna indifferenza è possibile rispetto allo sfruttamento dei padroni, quando se ne è vittime.

Il livello di Montale, rispetto alla “nuvola nella sonnolenza del meriggio” o rispetto al “falco alto levato” ci riporta a una chiave di lettura universale in cui , per salvare se stessi, per non essere risucchiati dal “male di vivere”  bisogna distaccarsi da tutto senza lasciarsi coinvolgere, ricorda  il dolore universale di Schopenhauer, , ma Montale non va oltre la fase del distacco radicale, anche quello degli affetti, mentre Schopenhauer intravede nell’ascesi e soprattutto nella musica, la capacità di opporre il proprio essere a un destino spietato al quale è legittimo negare la capacità di renderci  sue vittime.

Per un verso si può tornare indietro sino a Parmenide, il cui Essere è immobile, poiché, se il non essere non esiste, l’essere non può muoversi in ciò che non è., non può diventare altro se non ciò che è. Eraclito tenta di sbarazzarsi di questa anomalia con la sua teoria del divenire universale, in cui tutto è trasformazione, è diventare ciò che non si è. E così l’uomo che non agisce, aspettando che l’essere si completi da sé ha poco da dividere con l’uomo che vive, sceglie, combatte, agisce, demolisce, costruisce. Ancor meglio Empedocle identifica in Necros e Philia le due forze dinamiche che scuotono i quattro elementi, li mescolano, li sistemano, causando da una parte generazione e vita, dall’altra stasi e morte. Nulla di nuovo rispetto ai due serpenti delle dottrine indù o alla più antica divisione in yin e yang, le due forze che si scontrano generando l’esistente.  Nulla di strano se si identifica l’indifferenza nel suo aspetto ieratico, che spinge all’immobilità, rispetto alla spinta possente che sa dare lo yang, con la sua propulsione generativa. Le conseguenze pratiche dell’indifferenza possono essere l’apatia, il disinteresse, una condizione di distacco, sino all’impassibilità. L’apatia o l’aponia professata dagli Stoici è un modo nobile e razionale di opporre all’urgenza dei sentimenti, al coinvolgimento emotivo, spesso foriero di interiori lacerazioni, la barriera del distacco, del vaffanculo, in cerca di una imperturbabilità che non sempre a portata di mano. Lo stoicismo è coraggiosa e non passiva sopportazione. L’atarassia di Epicuro è una delle più grandi conquiste della mente umana, come Lucrezio aveva bene intuito, perché non c’è nessuna valida ragione per cui noi dobbiamo soffrire, o lasciarci andare alla sofferenza, rispetto a un interiore equilibrio che mi fa gettare nella spazzatura tutti gli elementi che vogliono turbarlo., prima fra tutte la paura della morte.

Difficile fare un  rapporto tra il progetto politico di Gramsci, nel quale non ci dovrebbe essere spazio per l’indifferenza, ma si riconosce che sono pochi a mobilitarsi, e quello di chi ha trovato risposte a tutte le richieste di stimoli, a tutte le strade percorse in passato, a tutte le proposte ideologiche, religiose, politiche, senza riuscire a trovare l’entusiasmo salvifico, ma restando nella palude dell’immobilità, che poi, non è sempre palude, è l’altezza da cui il falco guarda la palude, è il soffice  e momentaneo passaggio della nuvola attraverso la sua effimera dispersione. A questo punto Gramsci non può più odiare chi non si riconosce nella possibilità della sua proposta comunista.

La tentazione di estendere l’indifferenza alla noia o di identificarla con essa  lascia qualche perplessità, nel senso che la noia è la mancanza di motivazione, il non aver voglia di fare, mentre l’indifferenza è la presa di distanza, indipendentemente dalla voglia.  Tutte le frasi brevi riferentesi all’indifferenza, la pongono come un male, come la responsabile persino dell’assassinio, come l’assenza di buona volontà, di morale, di sentimenti rispetto alle storture d’odio presenti nella società. In realtà non credo che questa chiave di lettura renda giustizia all’indifferenza nella sua complessità di significati, ma solo alle letture di facile condivisione e accessibilità. La vera indifferenza è ben altro, e principalmente sta nel non lasciarsi intrappolare nella sottile tela di Aracne  che è anche una struttura educativa che vuol fare di te una cosa inutile, un esecutore, un condivisore di valori scelti sulle tue spalle e un frammento dell’imbecillità universale. Rispetto a questo obiettivo restare indifferenti, non lasciarsi irretire, non diventare agente riproduttore del sistema, è già una forte affermazione di personalità.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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