Per una Rai pubblica fondata sul lavoro

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Matteo Renzi non passerà alla storia per aver cambiato l’Italia, ma per aver illuso tanti elettori, per le promesse mancate e per aver azzerato i diritti dei lavoratori.

Un rapporto della Banca d’Italia dice che gli investitori esteri non vengono da noi, non per colpa dell’articolo 18, ma perché non si combattono la corruzione e le mafie. Nel marzo scorso il presidente del Consiglio, a proposito di lotta alla cri­minalità organizzata, era stato criticato da Roberto Saviano per il suo “approccio ge­nerico al problema” nel discorso di fidu­cia al Senato. Renzi, come suo solito, in risposta ha sparato promesse: “Mafia Spa, che è presente in ogni comparto economi­co, al Nord come al Sud, va aggredi­ta”.

A distanza di nove mesi nessun segnale di discontinuità con l’immobilismo e la collusione dei passati governi. E’ sconvol­gente che le istituzioni, a cominciare dal governo, non facciano nulla a difesa e a sostegno del pm di Palermo Nino Di Mat­teo, titolare del processo sulla trattativa Stato-mafia, condannato a morte da Totò Riina, con il tritolo già arrivato in Sicilia.

Scaglione, Terranova, Chinnici, Costa, Li­vatino, Falcone, Borsellino e tanti altri, ri­schiano di essere ancora una volta morti inutilmente.

Allo stesso modo Renzi si sta compor­tando con la Rai e più in generale con il sistema radiotelevisivo regolamentato da una legge del 2004, la Gasparri, esempio di ad personam voluta da Berlusconi per condizionare il mercato a favore delle sue aziende.

Una delle prime cose che Renzi ha detto da premier: “Il nostro obiettivo è di libe­rare la Rai dai partiti”. Se nei pros­simi gior­ni non arriverà in Parlamento una pro­posta di riforma, il cda della Rai, che sca­drà in primavera, sarà nuovamente nomi­nato con la legge Gasparri: lottizzazio­ne conferma­ta, indipendenza rimandata.

Giacomelli, sottosegretario con delega alle Comunica­zioni, aveva annunciato che via Internet avrebbe sondato il parere dei cittadini per creare l’identikit della nuova Rai. Niente di tutto ciò è accaduto.

Il mondo cambia e il governo non lo sa

Il gover­no fa finta di non vedere che il mondo dei media cambia rapida­mente: le te­state giornalistiche abbando­nano la carta per la Rete, i tg del­le tv generali­ste hanno perso oltre il 30% di ascolto.

Col digitale la tecnologia ha rivoluzio­nato non solo i sistemi di co­municazione, ma la fruizione della tv: i programmi sono visti attraverso il classico elettrodomesti­co prevalentemente dal pubblico più an­ziano, mentre i giovani li guardano esclu­sivamente su Internet (you­tube e le web tv). Sono milioni gli italiani che fruiscono i prodotti televisivi attraver­so nuovi mez­zi: computer, tablet, smartphone.

Quando, poco tempo fa, si è parlato di rinnovo del canone e di lotta all’evasione (circa 600 milioni di euro), il governo ha fatto capire che l’imposta andrà pagata non solo dai possessori di tv ma anche da chi utilizza altri mezzi per guardare ciò che viene trasmesso nell’etere e in Rete.

Sono 600.000 i cittadini che nei fine setti­mana seguono il Calcio e la Formula 1 at­traverso tablet e smartphon.L’arrivo poi, grazie a Sky Atlantic, delle serie tv ameri­cane: House of Cards, True detecti­ve, Breaking bad, Homeland, o Gomorra la serie (venduto in 50 paesi nel mondo), sta dimostrando che il tradizionale rileva­mento d’ascolto Auditel non funziona più.

House of Cards, di cui tutti parlano, se­condo Auditel sarebbe stato visto in prime time da un massimo di 9.000 telespettatori con uno share dello 0,03%, mentre Sky, che ha un proprio sistema di rilevamento, assicura che i numeri sono ben diversi.

Nazareno? Rai + Mediaset

Il duopolio Rai Mediaset, ancorato all’Auditel per spartirsi la pubblicità, come il topo al formaggio, in questi ultimi anni è stato più volte superato per introiti dalla tv di Murdoch (4.750.000 abbona­menti, nel 2013 ha portato in cassa 2,6 miliardi di euro, distanziando la Rai al se­condo posto e Mediaset al terzo). Sky consente di seguire la pro­grammazione at­traverso Sky Go (usato re­golarmente da 2 milioni di abbonati), Sky Online, oppure On Demand, che nei primi 10 mesi di vita ha superato i 25 milioni di download, di tutto ciò l’Auditel non ne tiene conto.

Il futuro della tv inevitabilmente passe­rà attraverso la banda larga: Mediaset sta trattando con Telecom la vendita della pay tv Premium e cercando di acquisire quote della stessa compagnia telefonica; Sky ha unificato in un’unica azienda (BSkyB) la tv satellitare di cinque paesi: Italia, Ger­mania, Austria, Regno Unito e Irlanda (30 sedi, 31 mila dipendenti e 20 milioni di abbonati); nel 2015 sbarcherà in Italia, fruibile attraverso la Rete, l’americana Netflix (50 milioni di abbonati, leader in Francia, Germania e Gran Bretagna).

E la Rai? E’ costretta a subire gli isteri­smi di Renzi per fare cassa: 150 milioni di mancato canone in cambio della quotazio­ne in borsa di Rai Way dal giorno alla not­te, mentre nulla ha fatto ancora sulla legge Gasparri che prevede per il 2016 la fine della concessione del servizio pubblico alla Rai. A questo punto è legittimo do­mandarsi non se ha senso il servizio pub­blico, ma un servizio pubblico ancora una volta condizionato dai partiti.

E’ in gioco la de­mocrazia, per il suo bene andrebbe strap­pato al più presto il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, che sta condizionando tutte le riforme di cui il paese ha bisogno: legge elettorale, lotta alla corruzione, alle mafie e all’eva­sione fiscale, prescrizione, ripristino del reato di falso in bilancio, e non meno im­portante una vera legge sul conflitto d’interessi che renderebbe la Rai final­mente libera dagli imprenditori che usano la politica per fare affari e dai partiti.

Loris Mazzetti –

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