Le parole dette dal mio collega Vincenzo Ragusa e Francesco La Licata nel documentario edito dalla RAI, Ninni Cassarà, un bravo poliziotto,a proposito della solitudine, mi hanno fatto ricordare un episodio carico di estrema solitudine di Ninni.

Io , ero stato allontanato da Palermo, ma spesso mi recavo nella mia città e incontravo Ninni, oppure ci telefonavamo. Un giorno lo sentii più solo delle altre volte e si sfogò dicendomi il motivo. Per rincuorarlo, gli suggerii di incontrare un alto esponente delle Istituzioni, un carissimo amico mio. Ninni lo incontrò riservatamente a Partinico. Poi ci sentimmo al telefono e lo trovai più sereno: non gli chiesi nulla sul tenore della conversazione. Dopo la morte di Ninni, il mio amico venne a trovarmi e mi raccontò le fasi dell’incontro, pieno di precauzione. Mi disse che il colloquio, in accordo con Ninni fu registrato e mi consegnò una copia della cassetta che senza nemmeno ascoltarla, consegnai nelle mani di Laura Cassarà.

La solitudine era la norma di vita di ogni investigatore o magistrato che si occupava di mafia a Palermo. Le relazioni con l’esterno erano ridotte al lumicino, non erano ammessi svaghi o divertimenti. Quello che ci faceva male, molto male era la sordità che lo Stato dimostrava nei nostri confronti. Bisognava far parte della Squadra di Ninni per capire con quanta passione e amicizia, tutti insieme lavoravamo, per lui. Dovevamo vincere la solitudine che attanagliava la nostra mente. Ma questi sentimenti non bastarono e perdemmo in solitudine. E mi spiace tantissimo che ancora oggi non si guardi al quel periodo con spirito critico verso uno Stato che nulla ci diede e che nulla ci offrì per realizzare i nostri ideali: ideali che tutta la Mobile palermitana portava avanti in nome di quel Giuramento fatto innanzi alla Costituzione.

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Redazione

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