È finita. Ma è davvero finita?

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È finita. Sei mesi di campagna elettorale sul nulla ci hanno lasciato esausti.

Sballottati tra sì e no, tra conservatori e progressisti, tra costituzionalisti e revisionisti della costituzione, tra renziani e antirenziani, gli italiani hanno risolto tutto alla loro maniera, con un sonoro e irrevocabile “vaffanculo”. Un’orgia di sciacalli si sono appropriati della vittoria del no appropriandosi di un risultato che non appartiene a loro, perché non si votava per il loro partito, ma per una “deforma” istituzionale. Una galleria di mostri è uscita dal letargo, per chiedere elezioni, dimissioni, scioglimenti, sfiducia ecc.

E così tutti coloro che hanno votato NO perché non piacevano loro il senato non votato dagli elettori e svuotato delle sue prerogative, l’accentramento dei poteri nelle mani dell’uomo solo al comando ed altre numerose deformazioni che sono state ampiamente illustrate dai migliori costituzionalisti in questi mesi, si sono visti associati e omologati con una serie di personaggi, per lo più squallidi, con cui non avevano nulla a che fare. È una vittoria della democrazia che ha salvato se stessa dalle smanie autoritarie del “galletto” di turno, il quale voleva anche complicare la possibilità di far ricorso al referendum aumentando il numero delle firme per chiederlo. Renzi  ha perso perché se l’è cercata: ha affidato il nome di questa riforma a una belloccia, la Boschi, con il cervello da gallina, ha impostato il problema come una scelta su se stesso e sul suo operato, ha forzato la mano al suo stesso partito, imponendo voti di fiducia, dimissioni, epurazioni, non è riuscito a rispettare a rispettare la disposizione costituzionale che indica una maggioranza parlamentare del 75% per riformare gli articoli della costituzione e ha imposto il referendum mettendo in gioco se stesso, quasi un novello Leopardi che, nella canzone “All’Italia” dice: “L’armi, qua l’armi, io sol combatterò, procomberò sol io”. Anche se il participio passato di “procombere”, cioè di cadere in avanti, non esiste, possiamo dire che è “procombato” sullo stesso terreno di battaglia che si era scelto. Oggi c’è un bel sole e l’Italia non è finita. Fra l’altro Renzi esiste ed è arrivato a quel posto grazie a quella costituzione che voleva deformare. Nessuno si illuda che sia finito e che andrà a coltivare verdure: è ancora il segretario del PD, e, se ha un minimo di naso dovrebbe cercare di ricomporre la frattura interna al suo partito e ridare il corretto significato alla parola “sinistra”, cioè lavorare e governare per ridistribuire la ricchezza nazionale in modo che tutti possano vivere dignitosamente. Conoscendo il pollo e i suoi pretoriani, qualche dubbio è legittimo.

Gli scenari possibili?

  • Mattarella rinvia Renzi alle Camere per il voto di fiducia, le camere, dove esiste ancora una maggioranza renziana confermano la fiducia e Renzi rimane in sella sino alla scadenza naturale della legislatura;
  • Renzi reitera le dimissioni irrevocabilmente e Mattarella dà l’incarico a un altro del PD, si fa il nome di Del Rio, che andrà avanti  sulla linea di Renzi, il quale, sia pure sotto traccia, continuerà a governare;
  • Mattarella accetta le dimissioni e incarica, per un governo “tecnico” Pietro Grasso o chi per lui, con il fine di rifare una legge elettorale dignitosa, prima di sciogliere le camere e andare al voto;

proprio su quest’ultimo punto si giocano gli ultimi resti del renzismo e della partitocrazia che lo sostiene, ovvero sul “premio di maggioranza” che dovrebbe andare al partito che prende più voti, dandogli, in nome della governabilità una maggioranza di parlamentari ben più ampia di quella scelta dagli elettori: una volta la chiamavano “legge truffa”, un autentico furto di democrazia.

Sullo sfondo l’ombra di Berlusconi, dichiaratosi “disponibile” per tornare al sogno di Napolitano, cioè al patto del Nazareno, e Beppe Grillo in agguato, per proporsi come unica alternativa allo sciagurato patto. Vedremo.

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