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Condannato a pagare, ma con un terzo di sconto

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Una sentenza che merita attenzione

Il 21 maggio 2021, è stata resa nota da Live Sicilia, in un articolo di Riccardo Lo Verso,  una sentenza del 30 ottobre 2020, stranamente tenuta sotto silenzio: l’amministratore giudiziario Andrea Modica de Mohac è stato condannato, dalla quinta sezione civile del tribunale di Palermo, presidente Claudia Turco e  giudice relatore Rachele Monfredi, al pagamento di tre milioni e 300 mila euro (con condanna sospesa per un terzo della cifra) da risarcire all’impresa Tosa Costruzioni, da tempo confiscata e attualmente gestita dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati. La Corte d’appello di Palermo, sezione imprese, alla quale Mohac ha fatto ricorso chiedendo la sospensiva dell’efficacia esecutiva della sentenza, ha sospeso il pagamento di un terzo della cifra, con questa arzigogolata motivazione: “La parte appellante ha ricollegato i gravi e fondati motivi innanzitutto alle ragioni del gravame, con motivi che, anche alla luce delle complessive emergenze processuali e delle allegazioni, meritano, quantomeno per parte dei profili addotti, idoneo approfondimento, non risultando, in base alla limitata disamina propria di questa fase, prima facie privi di fondamento”.

La Tosa era un’impresa di costruzioni di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Torres, messa sotto sequestro dalla DIA il 25 luglio 1997 assieme ad altri beni immobili riconducibili ai fratelli Piero e Giuseppe Santomauro, imprenditori originari di Villafrati (PA), ma residenti da tempo in Palermo, già colpiti da analogo sequestro, di beni immobili, titoli, depositi bancari e quote societarie per un ammontare complessivo di circa 17 miliardi di lire, nel settembre dell’anno precedente. Il sequestro in esame ha riguardato: 41 appartamenti siti in Palermo e Villabate; 61 boxes; 15 posti auto; 9 magazzini; 2 locali seminterrati; le quote societarie della SA.TO. e le residue quote della TO.SA. e una quota di multiproprietà in un complesso turistico-alberghiero di Cefalù. Dal 2006 al 2010 l’amministrazione giudiziaria dei beni è stata affidata ad Andrea Modica de Mohac, poi all’altro amministratore Luigi Miserendino, sino alla definitiva confisca del 2016 e al passaggio ANBSC, la cui amministrazione, verificando i conti, ha rilevato irregolarità nella stipula di “contratti del tutto irragionevoli dal punto di vista economico, talvolta estranei all’oggetto sociale, in molti casi in palese conflitto di interessi e in mancanza dell’autorizzazione del Tribunale, procurando alla società esborsi consistenti del tutto ingiustificati, spesso in favore di persone fisiche legate a sé da rapporti professionali o familiari e di persone giuridiche riconducibili ai suoi fratelli e a sé stesso”.

Modica si è difeso sostenendo che, poiché egli, oltre alla carica di amministratore giudiziario era anche amministratore della società, in virtù dei poteri conferitigli dallo statuto, non aveva l’obbligo di ricorrere all’autorizzazione del magistrato competente, ma era sufficiente il controllo dei soci sul suo operato. Proprio su questo aspetto la sentenza rileva che è vero che le scelte gestionali dell’amministratore sono insindacabili ma, a parte l’opportunità, la convenienza e i risultati di certe operazioni, non si può travalicare la loro liceità, come nel caso di commesse per lavori edili assegnate al fratello imprenditore, o di una consulenza richiesta a un parente acquisito, oltre a una complessiva “mala gestio” con mancata riscossione di crediti, e la non correttezza di alcune operazioni contabili. Oltre al danno materiale di due milioni di euro, Modica dovrà risarcire 600 mila euro di danni morali che, in aggiunta agli interessi maturati porta la cifra a tre milioni e 300 mila euro. Dopo la sospensione di un terzo della condanna si attende la decisione del collegio di appello. La sentenza merita attenzione, in quanto è un raro caso nel quale l’amministratore giudiziario è chiamato a rispondere, anche in sede di risarcimento, dei danni causati dalla sua gestione.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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