Questa delocalizzazione non s’ha da fare

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Torniamo ad occuparci della delocalizzazione della Distilleria Bertolino di Partinico.

Succedono cose strane a Partinico. Anni e anni di lotte per l’ambiente, associazioni di cittadini, come quella del “Patto per la salute e per l’ambiente” creata dal compianto Nino Amato, impegno giornaliero a qualsiasi livello, istituzionale e cittadino, come quello del Circolo Chico Mendez di Lega Ambiente, creato dal compianto Gino Scasso, interventi nelle scuole e tra la gente, come quelli del compianto Piero Ciravolo, corteo dei diecimila, gesti eclatanti, come il bagno nell’acqua putrida di Bongiorno, fondatore dell’ormai scomparsa associazione di Italia Nostra, spogliarello di Pino Maniaci ai cancelli della Distilleria, denunce a tappeto dei legali della Bertolino, oltre che le duecento a Telejato, a cittadini, politici, giornalisti senza giacca e senza cravatta, sentenze di magistrati, centraline di controllo del PM10, torrente Malutempu, pozzetti d’ispezione non controllati, analisi che sembravano truccate, interventi dell’ARPA, interpellanze alla Regione Sicilia, e tanto altro, per arrivare finalmente a un risultato: la distilleria doveva essere localizzata e, per la sua delocalizzazione il posto giusto era in contrada Sant’Anna.

La distilleria non poteva stare nel posto dove si trova poiché era un’industria insalubre e costituiva un pericolo per la salute dei cittadini. E così, in altri tempi, la giunta di Gigia Cannizzo, ovvero l’unica concreta esperienza di centrosinistra che Partinico abbia avuto, con i suoi vari esponenti, da Gino Scasso a Nino Gugliotta, a Beppe Nobile, a Enzo Bonomo, a Toti Costanzo, alternatisi nel tempo, a partire dal 1997 deliberò, nella stesura del Piano regolatore Generale che le industrie insalubri avrebbero dovuto trovar posto in contrada Sant’Anna.

Adesso, dopo che da due anni la Giunta di Partinico e i tecnici della distilleria hanno lavorato per definire i termini della delocalizzazione, dopo che sono stati in buona parte ottenuti permessi, certificati, approvazione dei progetti, valutazione d’impatto ambientale e quant’altro, è spuntato da qualche tempo un Comitato denominato Partinico libera da inquinamento che ha preso posizione contro una recente delibera di variante al PRG, approvata onde consentire, per l’ubicazione della distilleria, l’acquisto di terreni limitrofi, necessari come area di lavoro. In realtà il Comitato, come già sostenuto in altre occasioni, si è detto contrario alla delocalizzazione della distilleria in quel sito, in quanto sulla zona sarebbero presenti vigneti pregiati di bianco d’Alcamo, che forse rimarrebbero inquinati non si sa bene da che cosa, dal momento che, come da progetto, gli impianti di depurazione e di controllo di eventuali elementi nocivi dovrebbero essere concepiti e installati secondo le ultime innovazioni tecnologiche ed essere perfettamente a norma, oltre che approvati dalle commissioni di controllo. Tra le “ipotesi” che il comitato agita c’è quella della possibilità che il biodigestore, ovvero l’impianto che brucia le vinacce esauste e le usa come combustibile nel ciclo chiuso di lavorazione, possa diventare un bruciatore, un inceneritore o un termovalorizzatore che dir si voglia, dei rifiuti prodotti dalla zona: l’ipotesi appare fantasiosa e priva di fondamento, dal momento che simili strumenti di combustione non si improvvisano, non si creano secondo le intenzioni di un imprenditore, ma hanno bisogno di progetti, autorizzazioni e approvazioni che in questo progetto, per questo tipo d’uso  non risultano esserci. Per spingere sull’opposizione alla delocalizzazione in contrada Sant’Anna il Comitato ha avviato contatti con i sindaci dei vicini comuni di Montelepre, Monreale, Alcamo, Balestrate, ed ha ottenuto come primo risultato la convocazione del Sindaco Lo Biundo presso la quarta Commissione Ambiente e Territorio della Regione per mercoledì 21, onde discutere “sul progetto di diversa ubicazione della distilleria Bertolino”.

Pare che dietro tutta questa manovra ci sia la longa manus di alcuni esponenti del Movimento Cinque Stelle, ma anche di alcuni “ambientalisti”, se tali vogliamo definirli, di Partinico che, dimenticando di essere stati in passato favorevoli alla delocalizzazione a Sant’Anna, adesso si oppongono, senza indicare dove la distilleria dovrebbe essere localizzata, e quindi, con il rischio di ottenere, come risultato che la distilleria resti al suo posto per diversi altri anni e con il pericolo che comporta tutto ciò, per la salute dei cittadini. Difficile anche pensare sia che gli altri comuni prendano a cuore la causa di “Partinico libera da inquinamento”, in quanto hanno di che occuparsi dei loro problemi, sia che l’amministrazione comunale di Partinico possa fare marcia indietro, dopo anni di lavoro per portare avanti  questo progetto.

Certamente sarebbe stato più interessante che ci si fosse occupati del progetto in sé, delle condizioni con cui è stato fatto, ovvero della valorizzazione dei terreni “inquinati” dove attualmente ha sede la distilleria e, soprattutto dell’impressionante quantità di acqua, trenta litri al secondo che la distilleria ha chiesto, e  di come e dove sarà sversata, cioè scaricata quest’acqua dopo il ciclo di lavorazione e di depurazione. Ma di questo non si parla e rimane l’amara sensazione che dietro a tutto non ci sia la solita bega paesana tra chi si è assunto il ruolo dell’opposizione su tutto e su tutti e si vuole candidare alla prossima guida del paese, considerando che la distilleria ha da sempre occupato un posto rilevante nei programmi dei candidati a sindaco di Partinico.

Se possiamo permetterci di suggerire a questo Comitato e a tutte le forze politiche locali un’indicazione, la battaglia dovrebbe essere fatta nei confronti dell’esistenza stessa della distilleria, non in quanto fabbrica, ma in quanto realizzata all’origine da un mafioso e portata avanti attraverso una costante presenza, all’interno della distilleria, di parentele, di presenze, di complicità, di protezioni, e di investimenti, su cui l’apertura di un’indagine finalizzata al sequestro preventivo dei beni e alla successiva confisca risolverebbe il problema alla radice. Basta dare un’occhiata al recente pamphlet di Enrico Somma I tabu delle mafie per rendersi conto di tutto quello che c’è stato e c’è sotto.  Ma una cosa del genere non l’ha fatta neanche la Saguto, perché ci vuole molto coraggio, oltre che voglia di andare oltre le polemiche, e quindi teniamoci quel che c’è.

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