Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale etneo su proposta del direttore della Dia, Nunzio Antonio Ferla e ha interessato quattro società operanti nel settore dell’edilizia, autoveicoli, motoveicoli e sei tra conti correnti e depositi bancari.
L’uomo, secondo l’accusa, dopo gli arresti di Santo La Causa e Francesco Carmelo Arcidiacono avvenuti nel 2009, ha iniziato la scalata alla gerarchia interna del sodalizio, divenendone il “reggente militare” con il compito di detenere la “cassa degli stipendi”.
Il boss La Causa, dopo avere avviato la collaborazione con la giustizia, lo ha indicato come componente della banda criminale che nel 1996 uccise Luigi Ilardo e ha rivelato che avrebbe collaborato anche all’omicidio del rampollo di Angelo Santapaola.
Ulteriori accertamenti estesi anche all’interno del suo nucleo familiare, hanno consentito di verificare la rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati, l’attività svolta e gli arricchimenti patrimoniali di Cocimano, che già nel 2014 era stato arrestato dalla polizia per fittizia intestazione di società operanti nel settore delle costruzioni edili per riciclare e impiegare denaro, beni o utilità di provenienza illecita.
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