L’Associazione Antimafie “Rita Atria” ha richiesto alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, il conferimento della cittadinanza onoraria a Rita Atria, secondo quanto già anticipato all’Assessora alle politiche della Scuola, Cultura e Sport e politiche giovanili del Municipio VII, Elena De Santis, intervenuta all’evento organizzato in occasione della commemorazione del 25° anniversario della morte di Rita, svoltosi quest’anno a Roma in Viale Amelia, il luogo dove spiccò il volo verso le sue “stelle”, a soli diciassette anni.
Rita Atria, giovane donna libera e ribelle, testimone di giustizia a soli 17 anni, si è opposta al patriarcato mafioso, ha raccontato fatti e nomi, anche di esponenti politici collusi, “consentendo una ricostruzione ancora più precisa e approfondita del fenomeno mafioso partannese (…) benché minorenne mostrava immediatamente agli inquirenti grande determinazione nel collaborare con la Giustizia (…)” (Procura della Repubblica di Marsala 4 marzo 1992, firmata da Paolo Borsellino e dal sostituto Procuratore della Repubblica Alessandra Camassa).
La solitudine sempre più profonda di questa “picciridda” è il segno indelebile di un’ulteriore denuncia: “Nessuno potrà mai colmare il vuoto che c’è dentro di me, quel vuoto incolmabile che tutti, a poco a poco, hanno aumentato” – “Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi” (dai suoi scritti).
E tale proposta nasce proprio dalla nostra convinzione che l’esempio che Rita ci ha dato con la sua scelta e la sua denuncia radicale, i suoi scritti e la sua breve ma intensa vita, debba proseguire attraverso azioni concrete che servano ad attestare la volontà di combattere quell’indifferenza che isola e “uccide”, il silenzio che permette il proliferare del sistema mafioso e il dilagare nei gangli vitali della vita pubblica del nostro paese.
Rita rappresenta, infatti, un riferimento forte soprattutto per le giovani generazioni, una modello che può indicare un percorso limpido, libero di autodeterminazione, un percorso per cambiare un sistema di valori che ha preso il sopravvento e che puzza di quel “compromesso morale”, di quella contiguità e quindi della complicità di cui parlava il giudice Paolo Borsellino.
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