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Restituiti i beni all’architetto Rizzacasa

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Restituiti i beni all’architetto Rizzacasa. La storia dell’Aedilia Venusta, ovvero, come l’acqua santa può diventare diabolica

Il tribunale che si occupa delle misure di prevenzione diretto da Giacomo Montalbano, ha respinto la richiesta della Procura di confisca dei beni dell’architetto Vincenzo Rizzacasa e ha disposto che il patrimonio sequestrato ritorni all’avente diritto e agli altri “intervenienti”, cioè a familiari e soci. Si tratta di un immenso patrimonio valutato circa 200 milioni di euro, comprendente, fra l’altro, la società Immobiliare Sant’Anna, la “verde Badia” che consta di  un complesso edilizio  di 35 immobili, la Arbolandia, la Abitalia, che comprende il supercinema di Via Cavour, attualmente sede della Feltrinelli e l’Aedilia Venusta, a parte un consistente numero di automezzi, auto di lusso, camion, assieme a una serie di strutture in cui stava realizzando lavori. Era stato arrestato nel 2010 con l’accusa di riciclaggio e di fittizia intestazione dei beni: in pratica avrebbe costruito il suo impero nel settore dell’edilizia investendo soldi della mafia. Il punto d’unione sarebbe stato Salvatore Sbeglia, condannato in primo appello a otto anni, perché ritenuto vicino ai mafiosi Ganci, del quartiere Noce. In realtà Rizzacasa aveva affidato il ruolo di capocantiere a Francesco Sbeglia, figlio di Salvatore, ottimo professionista, anche lui condannato, in primo appello a sette anni. Ma già nel 2013 Rizzacasa era stato assolto dalle accuse di essere stato un imprenditore legato alla mafia, anche se  la sua odissea è continuata in Cassazione, sino al febbraio 2014, allorchè alla sua assoluzione si è associata quella  di Salvatore Sbeglia che, secondo l’allora giudice Scarpinato e secondo l’allora procuratore aggiunto Antonio Ingroia, era stato sottoposto alle misure di prevenzione, già disposte nel 2010 da Silvana Saguto con l’incarico di amministratore giudiziario affidato a Cappellano Seminara. Adesso Rizzacasa si sfoga, dichiarando di avere presentato 53 denunce contro i vari tentativi di estorsione e di avere segnalato i suoi estortori, senza che contro di essi fosse stato preso alcun provvedimento. Va detto anche che Rizzacasa, che in appello avrebbe potuto fruire della prescrizione, vi ha rinunciato chiedendo l’assoluzione con formula piena, che è poi arrivata. Possiamo preannunciare che al più presto ha promesso un’intervista alla nostra emittente.  Ma ripercorriamo la storia, di cui ci siamo già occupati, della più importante delle società di Rizzacasa, la Aedilia Venusta.

La AEDILIA VENUSTA

A Palermo, in via Comandante Simone Gulì n. 43 presso la borgata Acquasanta si trova, anzi c’era una villa palermitana del 1700, ma dove si potevano notare  visibili tracce di una sua preesistenza  risalente al 1.500, secondo altri al medioevo: qualche storico ha parlato addirittura di reperti di origine preromana. La villa si affacciava sul porticciolo e aveva tutte le finestre con vista sul mare. L’originaria proprietà fu della nobile famiglia dei Gravina, di origine normanna. Gli esponenti del  ramo siciliano dei Gravina, che presero il nome da quello di un feudo pugliese da cui provenivano, parteciparono alla prima crociata, ebbero diritto di essere seppelliti nel pantheon reale, furono Grandi di Spagna, possedevano 9 principati, 5 ducati, 7 marchesati, 3 contee ed oltre 24 baronie.

Dentro quel che resta dell’attuale edificio scorreva una sorgente di acqua minerale, sulfurea e purgativa, contenente sali alcalini, quali solfato di calcio e magnesio,  cloruro di calcio e, sodio, considerata miracolosa per i suoi benefici. Di lì il nome di “Acquasanta” dato a tutta la borgata . Attualmente l’acqua è stata incanalata in condutture che sfociano a mare. Da una ricerca pubblicata da Claudio Perna e curata dall’Associazione culturale “I Luoghi della Sorgente” apprendiamo che “la sorgente acquifera era situata in una grotta, un piccolo ambiente ipogeico, che un tempo fu santuario pagano, poi piccola cappella conosciuta come Palermo  S. Margherita di Fora, dedicata,appunto, a Santa Margherita, protettrice dai mostri marini, e infine intitolata alla Madonna della Grazie, come attesta il Mongitore che riferisce di un affresco raffigurante la Vergine, risalente al tempo dei Saraceni e rinvenuto nel 1022. Nel 1774 la grotta e i terreni divennero di proprietà del Barone Mariano Lanterna, che acquistò dai benedettini del Monastero di S. Martino delle Scale il terreno circostante la grotta dell’Acquasanta e vi costruì una  tipica casena settecentesca di modeste dimensioni, con un semplice impianto su due elevazioni: alcune sale interne mantengono gradevoli decorazioni a fresco tardo-settecentesche. Apprendiamo dalla stessa fonte che nel 1871 i fratelli sacerdoti Pandolfo acquistarono la villa e vi costruirono uno stabilimento per bagni e cure idroterapiche, che sfruttava le proprietà terapeutiche della sorgente di acqua minerale poco distante per la cura di malattie metaboliche. Nello  stabilimento  si potevano fare dei bagni  alla temperatura naturale dell’acqua di 18°-19° , ma grazie al processo di riscaldamento  anche i bagni caldi, a 25°-36°, e caldissimi fino a 42°. Successivamente i due sacerdoti decisero di commercializzare l’acqua che poteva anche essere bevuta, con 50 cent alla bottiglia. C’era anche la possibilità di fare delle docce che esercitavano la loro azione meccanica su un punto preciso del corpo con getti  d’acqua ascendenti, dal basso verso l’alto, discendenti, dall’alto verso il basso verso , e laterali in orizzontale. Lo stabilimento aveva in un edificio camerini da bagno distinti in familiari e singolari e nell’altro la macchina a vapore per il riscaldamento dell’acqua, le sale da soggiorno e da pranzo e gli ambienti di servizio. Tale istituto, accresciutosi nel 1892, fu attivo però per poche decine di anni. La struttura dei Bagni Minerali situati nella grotta e nei locali di Villa Lanterna era costituita da due edifici su tre piani collegati da una terrazza, tuttora è ancora visibile l’iscrizione “Fratelli Sacerdoti Pandolfo”, sormontata da un timpano con acroterio. Gli ambienti interni rispettavano l’originaria suddivisione e sul fianco sinistro del prospetto si trovava l’ingresso al mare preceduto da due piloncini, sul quale poi venne realizzata l’abitazione. Le analisi dell’acqua hanno riscontrato proprietà analoghe a quelle della fonte Tamerici di Montecatini Terme. La fonte aveva una portata di 15 litri al secondo e consentiva di effettuare mille bagni al giorno, con continuo ricambio delle acque. Nel 1993 venne effettuato un sopralluogo dai vigili urbani e dalla sovrintendenza e si accertò che la sorgente era ancora utilizzabile e avrebbe potuto essere ripristinata, ma non se ne fece niente: la preziosa acqua, attraverso cunicoli sotterranei, ancora oggi finisce a mare.

Tutto questo complesso, attualmente comprende le Terme, anch’esse adibite ad appartamenti, la grotta adiacente all’ex chiesetta, un piano terra di 70 mq,  un piazzale e altre tre più recenti costruzioni adibite ad abitazioni o uffici, di circa 250 mq. L’immobile, suddiviso in cinque unità è stato venduto a tre architetti e a una signora romana. Uno degli  architetti è Vincenzo Rizzacasa, già Preside di un istituto d’arte di Santo Stefano di Camastra, che nel 2005 ha deciso di dar vita a un’impresa di costruzioni, la “Aedilia Venusta”, intestata al figlio Gianlorenzo, specializzata in ristrutturazioni, munita di certificato antimafia e iscritta ad Addio Pizzo, fino a quando non si scoprì che al suo interno lavoravano i presunti mafiosi Francesco e Salvatore Sbeglia, legati al campo delle costruzioni e già oggetto di misure di prevenzione, di sequestri e di procedimenti giudiziari. Secondo i giudici gli Sbeglia sarebbero stati soci occulti di Rizzacasa e, attraverso la sua ditta, sarebbero tornati in attività, con metodi e sistemi di illecita concorrenza. Rizzacasa era legato al vicepresidente della Confindustria  Ettore Artioli, titolare di un’azienda, la Venti, che gli aveva commissionato la ristrutturazione della Manifattura Tabacchi di Palermo. Nei progetti della Aedilia Venustas c’èra anche la trasformazione dell’area della villa del Barone Lanterna in un residence di lusso con 15 appartamenti e due studi professionali, il tutto con regolare concessione, rilasciata nel 2009  e con tanto di visto da parte della Sovrintendenza ai Beni Culturali, che, per contro, avrebbe dovuto tutelare la conservazione di monumenti storici di questo tipo.  Quando vennero disposte le misure di prevenzione e il sequestro del patrimonio, Artioli si autosospese dalla Confindustria, ma continuò la sua carriera manageriale, al punto che nel 2012 è stato  nominato, dal sindaco Leoluca Orlando, presidente dell’Amat.

Per una di quelle anomalie tipiche della legge italiana e in particolare, di quella sui beni sequestrati alla mafia, il patrimonio immobiliare di Rizzacasa, per decisione del giudice delle misure di prevenzione, per il quale è sufficiente il “libero convincimento” che l’assoluzione non basta, è rimasto sotto sequestro, malgrado l’ordine di dissequestro dell’azione penale e anche oggi, dopo la recente sentenza la vicenda non si può dire conclusa, in quanto la Procura si potrebbe appellare.

Quando Seminara venne nominato amministratore giudiziario della Aedilia Venusta l’immobile era solamente transennato e i lavori non erano ancora cominciati. Sarebbe stato ragionevole che, chi agiva in rappresentanza dello stato, cioè della legalità, in considerazione del valore storico  del sito, degli affreschi che ancora esistevano all’interno, della sorgente di “acqua santa” che avrebbe potuto essere ripristinata, avrebbe dovuto fermare tutto, chiedere ulteriori verifiche ai Beni Culturali e al Comune e porsi quantomeno il dubbio se la superficialità con cui erano state date le concessioni non nascondesse passaggi sotterranei poco trasparenti: invece è stato dato il benestare all’opera di demolizione per la costruzione di nuove abitazioni adesso frettolosamente messe in vendita, nell’eventualità che, visti i risultati del procedimento penale, l’immobile non possa ritornare ai legittimi proprietari.  Addirittura, per risarcirsi del suo  “estenuante” lavoro, da lui stesso stimato in circa 800 mila euro, Cappellano si è impadronito di due appartamenti: probabilmente ne disporrà la vendita per incassare il compenso.

Da una visura notarile storica si rileva che “gli immobili citati vengono venduti a 250 euro al mq. per quanto riguarda la villa antica e le terme, quelli più moderni a 200 euro mq.” Se è vera questa notizia ci vuol poco a dedurre che, fissando un prezzo così basso, Cappellano Seminara avrebbe potuto mettere le mani su tutto il complesso edilizio e impadronirsene.

Da una nota della Camera di Commercio si deduce che “il fatturato di Aedilia Venustas s.r.l. stimato, nel 2011, tra i 300 e i 600 mila euro, durante il 2011 è diminuito, nello stesso anno,  del -1263% rispetto al 2009 e che il risultato netto ottenuto durante il 2011, dopo gli oneri finanziari, le tasse e gli ammortamenti è diminuito del -609,64% rispetto al 2009”. Il tutto grazie all’oculata amministrazione di Cappellano Seminara e a chi lo ha messo in quel posto. Oggi la sentenza di restituzione pone un inquietante e irrisolto interrogativo; chi pagherà i danni che gli imprenditori hanno subito da sequestri disposti frettolosamente e poi rivelatisi immotivati? Non certo la Saguto e  non certo Cappellano Seminara, ma Cappiddazzu paga tutto, cioè tutti i cittadini onesti.

 

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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