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Pippo Fava, la lettera di un ragazzo: “Hai risvegliato in milioni di siciliani la voglia di riscatto”

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Antonio Arcoria, scritta in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Pippo Fava

Caro Pippo, con oggi sono trentasei anni. Avevi tanti pregi ma avevi un cavolo di “difetto”, se così lo si può chiamare. Eri sempre “incazzuso” nel tuo modo di scrivere. Forse è per questo che sei rimasto un punto di riferimento per tutti qui giovani siciliani, come me, che amano la scrittura e la nostra splendida terra nonostante non funzioni tutto a dovere. La tua era una scrittura corretta, pulita e senza vergogna o paura di raccontare la realtà dei fatti. Eri così “incazzuso” perché questa terra, tanto meravigliosa e affascinante quanto malata, la amavi dal più profondo del tuo cuore.

Nel 1980 su I Siciliani scrivevi:

Io sono profondamente catanese, i miei figli sono nati e cresciuti a Catania, qui ho i miei pochissimi amici ed i molti nemici, in questa città ho patito tutti i miei dolori di uomo, le ansie, i dubbi, ed anche goduto la mia parte di felicità umana. Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell’amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso ‘al diavolo, zoccola!’, ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l’animo di oscurità.

Hai provato a cambiarla fino all’ultimo questa terra. Non ti sei mai piegato al sistema mafioso siciliano, e per questo l’hai pagata cara.

L’11 ottobre 1981 pubblicavi “Lo spirito di un giornale”, un articolo in cui chiarivi le linee guida che facevi seguire alla tua redazione: attenersi alla verità per «realizzare giustizia e difendere la libertà». Articolo che tutti i giovani siciliani che si avvicinano al giornalismo tengono stretto come fosse un “santino”, me compreso.

Fu in quel periodo che riuscisti a denunciare le attività di Cosa nostra, attiva nel capoluogo etneo soprattutto nel traffico della droga. E se si pensa che, fino ad allora, nessuna testata giornalistica aveva mai parlato di mafia a Catania è un tutto dire. Ma sappiamo entrambi che non è stato quello a staccarti un biglietto di sola andata per il “campo santo” (tri canceddi per i catanesi). Hai fatto un “errore” ben più grave per un uomo intelligente come te. Hai avuto la lungimiranza di capire chi erano e chi sono in realtà i veri mafiosi.

Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante.

Questo lo scrivevi nel tuo articolo del 1983 “I mafiosi stanno in parlamento”.

Ma oltre al danno caro Pippo, pure la beffa è arrivata! Sai cosa sarebbe successo subito dopo che quei caini ti hanno sparato 5 colpi alla nuca? Le istituzioni, in primis il sindaco Munzone, diede peso alla tesi che eri stato ammazzato a causa delle difficoltà economiche che affrontavano I Siciliani in quel periodo, tanto da evitare di organizzare una cerimonia pubblica con la presenza delle cariche cittadine. Vedi chi schifiu. L’onorevole Drago chiese una chiusura rapida delle indagini perché «altrimenti i cavalieri potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al nord». Sì, gli stessi cavalieri contro i quali ti eri tanto battuto in vita. E in più non contento di ciò, il sindaco, ribadì che la mafia a Catania non esisteva. Dopo anni e anni di schifiu, solo nel 1998 si è concluso a Catania il processo denominato “Orsa Maggiore 3” in cui è stato condannato all’ergastolo il boss Nitto Santapaola. Solo dopo che, nel 1994, l’evidenza delle accuse che avevi lanciato sulle collusioni tra Cosa nostra e i cavalieri del lavoro catanesi viene rivalutata dalla magistratura, che avvia, finalmente, vari procedimenti giudiziari. Sono passati tanti anni, ti hanno messo a tacere fisicamente, ma oramai il “danno” lo hai fatto. Hai risvegliato in milioni di siciliani quella voglia di riscatto, quella voglia di non piegarsi mai ai soprusi commessi da potenti e malavita. Ci hai insegnato che parlare, anche se a volte in modo “incazzuso” è molto meglio che stare zitti. Hai ispirato generazioni di giovani giornalisti, che amano questa terra dalle mille contraddizioni e la raccontano, in tutti i suoi pregi e tutti i suoi schifosissimi difetti.

Adesso, nel 2020, proprio accanto alla targa commemorativa, nel luogo dove sei stato freddato vi è un bel SexyShop, ma non importa. Conoscendoti, ti starai facendo una bella risata.

Del resto lo sapevi meglio di me, in Sicilia, spesso è tutto un “futti futti”.

Fonte: Antonio Arcoria

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Redazione

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