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Il fallimento della politica nel “mercatino dei senegalesi”

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Un mercatino nato da scelte delle amministrazioni comunali, che per ventuno anni non hanno saputo far altro che chiudere gli occhi e tirare a campare.

PESCARA. La storia delle zone 167 e di quartieri come Rancitelli, documentato nei giorni scorsi, è emblematica di una politica attenta solo a sé stessa. Responsabile di degrado e di attività criminali. A Pescara c’è un’altra vicenda su cui non c’è mai stata nessuna reale riflessione pubblica. In cui la “politica” ha avuto un ruolo negativo, riuscendo solo a peggiorare ripetutamente quel che già aveva combinato. È la storia del cosiddetto “mercatino dei senegalesi”, un totale fallimento trentennale, senza visione e capacità di incidere positivamente nel tessuto sociale cittadino. Sorto negli anni Novanta, ha caratterizzato l’area antistante la stazione centrale di Pescara fino a tre anni fa, quando il sindaco PD Marco Alessandrini decise di sgomberarlo. Militarmente, con il plauso di Forza Nuova, presente con un presidio la notte dello sgombero.

La notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 blindati, provenienti anche da altre regioni, (Napoli e Bari) hanno solcato le vie della città. Una città che sembrava pronta ad uno stato di guerra. Ci si poteva aspettare un maxi blitz risolutivo in quartieri come Rancitelli, dove un tale spiegamento di forze non è mai stato visto nei decenni. E invece si era solo deciso di porre fine ad un mercatino. Dove erano venduti, sicuramente, anche prodotti contraffatti, ma non c’era nessuna guerra possibile. Un mercatino nato da scelte delle amministrazioni comunali, che per ventuno anni non hanno saputo far altro che chiudere gli occhi e tirare a campare. Responsabilità trasversali. La scelta della cosiddetta “area di risulta” (dove in passato c’erano stati interessi a costruire naufragati per progetti che si son rivelati non avere gambe per camminare), a ridosso della stazione centrale ferroviaria, avvenne la prima volta con una delibera di giunta comunale (la n.1009 del 4 luglio 1995, il sindaco era Pace, l’assessore al commercio Carlo Masci). Nel 2005 la giunta comunale, sindaco D’Alfonso e assessore “competente” Moreno Di Pietrantonio (segretario PD), decise di spostare il mercatino nell’area occupata fino allo sgombero del 2016. Senza accorgersi che l’area non era di proprietà comunale ma delle Ferrovie dello Stato, che hanno solo subito la decisione comunale. E così si arriva al 2016 e allo sgombero militare.

Solo dopo aspre polemiche l’amministrazione Alessandrini cominciò a proporre una soluzione, scegliendo un’altra area per proseguire le attività del “mercatino”. Un sottopasso ferroviario, in una zona scarsamente illuminata, apparsa a molti non molto consona. Sono stati spesi 250mila euro di soldi pubblici, di cui 50mila messi a disposizione dall’amministrazione regionale, guidata da Luciano D’Alfonso. L’inaugurazione è avvenuta il 14 aprile 2019, alla presenza di autorità religiose, associazioni e persino dell’ambasciatore del Senegal. La scelta si è rivelata un totale flop, con la quasi totalità dei possibili assegnatari che non hanno mai aderito. E così, il 19 agosto del 2019, è calato il sipario. Morale della favola: nessun vero contrasto alla contraffazione, nessuna scelta di integrazione. E decine di ambulanti sparpagliati nelle zone più svariate della città. Senza alcuna possibilità economica. Con il forte rischio di finire preda dell’accattonaggio o di essere coinvolti in attività molto più illegali della vendita di una borsa con falsa griffe o di supporti musicali non originali. Ma c’è un altro passaggio dello sgombero militare che, anche a distanza di quasi quattro anni, è ancora sconcertante.

Il 18 maggio 2016, in un’intervista televisiva Alessandrini disse che era stato costretto per gravissimi ragioni di pubblica sicurezza. L’allora primo cittadino paragonò l’area sgomberata a Scampia (Rancitelli a cosa andrebbe paragonato? Kabul o Baghdad?), con tanto di vedette, “ombre della camorra”, e casi di sfruttamento della prostituzione “maschile”. Tutti sono realmente attivi a Pescara e nel vasto conglomerato urbano da Francavilla a Silvi. Ma interventi militari con reparti speciali e blindati nelle strade non si sono mai visti.

dell’ambasciatore del Senegal. La scelta si è rivelata un totale flop, con la quasi totalità dei possibili assegnatari che non hanno mai aderito. E così, il 19 agosto del 2019, è calato il sipario. Morale della favola: nessun vero contrasto alla contraffazione, nessuna scelta di integrazione. E decine di ambulanti sparpagliati nelle zone più svariate della città. Senza alcuna possibilità economica. Con il forte rischio di finire preda dell’accattonaggio o di essere coinvolti in attività molto più illegali della vendita di una borsa con falsa griffe o di supporti musicali non originali. Ma c’è un altro passaggio dello sgombero militare che, anche a distanza di quasi quattro anni, è ancora sconcertante.

Il 18 maggio 2016, in un’intervista televisiva Alessandrini disse che era stato costretto per gravissimi ragioni di pubblica sicurezza. L’allora primo cittadino paragonò l’area sgomberata a Scampia (Rancitelli a cosa andrebbe paragonato? Kabul o Baghdad?), con tanto di vedette, “ombre della camorra”, e casi di sfruttamento della prostituzione “maschile”. Tutti sono realmente attivi a Pescara e nel vasto conglomerato urbano da Francavilla a Silvi. Ma interventi militari con reparti speciali e blindati nelle strade non si sono mai visti.

Fonte: wordnews.it

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Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, collaboratore di Wordnews.it e referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora con Pressenza, Giustizia.info, QcodeMagazine, Comune-Info e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e "rotta adriatica" del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di "marcare" la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.

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