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Beni confiscati: ma non erano confiscati? E invece chi li aveva ci abita ancora

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Quello dei beni confiscati continua ad essere uno dei punti più critici in cui si gioca la partita tra lo stato e la mafia.

Lo stato ha creato una legge sulle misure di prevenzione che gli consente di aggredire i patrimoni mafiosi indipendentemente dall’iter giudiziario e dalle vicende penali dei proprietari. Come detto già tante volte, la richiesta e l’attuazione delle misure di prevenzione può essere fatta anche sulla base di semplici indizi o di motivati sospetti, immediatamente, in attesa che poi i “preposti” dimostrino la loro innocenza. Il “sistema Saguto” aveva creato una macchina perfetta tra accertamenti della DIA, sequestri, affidamento giudiziario a un gruppo ristretto di professionisti che gravitavano nell’ambito dei tribunali, nomina da parte di costoro di consulenti spesso legati da rapporti personali e parentali e “spolpamento” delle risorse dell’azienda sequestrata. Quando era rimasto ben poco, si passava alla confisca, soprattutto per scongiurare la possibilità di restituzione del bene al proprietario, dal momento che di questo era rimasto ben poco. Tutto ciò riguarda e ha riguardato soprattutto le aziende.

Per quanto riguarda i beni immobili si è verificato o che questi siano stati abbandonati al saccheggio e al vandalismo, o che essi siano rimasti nelle mani degli originari proprietari, malgrado il sequestro sia diventato definitiva confisca e il bene sia passato definitivamente nelle mani dello Stato. Parte degli immobili dei quali lo stato ha preso possesso, sono stati in molti casi ristrutturati, grazie a consistenti finanziamenti per la loro riutilizzazione a scopo sociale. Citeremo tra tutti la caserma della Polizia di Partinico, appartenuta al boss Bonomo o l’Ufficio anagrafe di Terrasini, il cui immobile è stato confiscato al boss Salamone.

Altri immobili invece, malgrado il provvedimento di confisca, sono rimasti nelle mani dei proprietari e, ad oggi, lo stato non è riuscito ad appropriarsene. Per tutti questi la prima domanda da farsi è se questi sono stati affidati, come per legge dovrebbe esser fatto, a un amministratore giudiziario e se questo ha effettuato la “presa in possesso”. Se non lo ha fatto, come pare evidente, per quali motivi lo stato non ha proceduto nei confronti di questo “inadempiente” amministratore e perché, come pare anche qua evidente, ha continuato a pagargli laute parcelle per non far niente.

Su La Repubblica di oggi Salvo Palazzolo cita alcuni esempi vistosi di beni confiscati in via definitiva, di cui lo stato non è riuscito ad appropriarsi. Ne citiamo alcuni: Vito Cavallotti, che comunque sabato prossimo dovrà sloggiare con la sua famiglia dalla sua casa di Belmonte Mezzagno, già da qualche anno confiscata assieme alle case di tutti i suoi parenti, che hanno attraversato un lungo iter giudiziario, malgrado l’assoluzione penale definitiva dal reato di associazione mafiosa, Vincenzo Pipitone, boss di spicco di Carini, la cui casa in via Giaconia 14 è ancora inaccessibile, Tommaso Spadaro, boss di primo piano della Kalsa, la cui villa in via Europa 44 a Ficarazzi, confiscata dal 2005 è ancora abitata dai suoi parenti, Rosario Lo Bue, la cui villa a Corleone  solo in questi giorni è stata “liberata”, Giuseppe Libreri, boss di Termini Imerese, ancora “padrone” di quattro palazzine, confiscate da 17 anni, in via sen. Edoardo Battaglia, da tempo destinatarie di alcuni uffici del palazzo di Giustizia, Gioacchino Draga, già titolare della “Smia”, con due appartamenti confiscati in via Badia, Salvatore Orlando, un usuraio di Altavilla Milicia, al quale nel 2012 è stato sequestrato un villino dove ancora egli abita. Molti ancora i casi in sospeso.

Per non parlare dei beni occupati dai senzatetto, come quelli del boss Salvatore Graziano, in via Federico De Roberto 4 a Palermo, delle ville di Pietro Lo Sicco, di Salvatore Lo Piccolo e di Antonio Porcelli: ultima in elenco una palazzina in cattive condizioni, di un residence in contrada Marina di Cinisi, già di proprietà del costruttore Giuseppe Piazza, senza acqua e senza luce, da quasi un anno abitata da una famiglia per lungo tempo costretta a vivere dentro una vecchia macchina: una parte di questo residence è stata affidata alla Cooperativa Ciuri di Campo, che ne ha fatto un eccellente centro di accoglienza per ragazzi che vogliono fare “vacanze d’impegno civile” in Sicilia. L’elenco potrebbe continuare, anche per quegli immobili affidati ai comuni e rimasti lo stesso abbandonati. Rispetto a queste cose che si conoscono da tempo, ma che sembrano essere scoperte solo oggi, il nuovo prefetto di Palermo Antonella De Miro, d’accordo col nuovo direttore dell’agenzia dei beni confiscati Ennio Mario Sodano, hanno concordato la creazione di un nucleo di monitoraggio, con sede a Villa Withaker e di un gruppo d’azione che passi all’acquisizione, se è il caso forzosa, di ciò che, secondo le sentenze dello stato, appartiene alla comunità, ma rispetto a cui lo Stato, sinora, non ha saputo far valere le sue ragioni.

Tutto ciò all’indomani dell’approvazione, da parte del senato, della nuova-vecchia legge che dovrebbe modificare tutta la questione dei beni confiscati, dalla gestione al riutilizzo, ai tempi di giudizio. Piccolo particolare: finalmente lo stato si è deciso a sottoporre a sequestro preventivo anche i beni realizzati con la corruzione, ma attenzione: su proposta del senatore Lumia, le malelingue dicono concordata con Berlusconi, saranno sequestrati solo i beni in cui la corruzione non sia stata effettuata da un singolo corruttore, ma quelli realizzati “in società”.

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Salvo Vitale

Salvo Vitale è stato un compagno di lotte di Peppino Impastato, con il quale ha condiviso un percorso politico e di impegno sociale che ha portato entrambi ad opporsi a Cosa Nostra, nella Cinisi governata da Tano Badalamenti, il boss legato alla Cupola guidata negli anni Settanta da Stefano Bontate.

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