L’antimafia lacerata

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Sullo scontro tra Giovanni Impastato e Piera Aiello
Copia di copertina (5)
A sinistra Aiello, a destra Impastato nel 2016 (quando ha aggredito verbalmente la troupe di Telejato)

A proposito dello scontro tra Giovanni Impastato e i rappresentanti del Movimento cinquestelle presentatisi alle iniziative in onore di Peppino il 9 maggio, non c’è dubbio che i toni usati, tra familiari che hanno vissuto sulla propria pelle l’angoscia e le conseguenze della violenza mafiosa siano andati al di là della normale dialettica e che non giovano alla causa del movimento antimafia.

Chi è Piera? Il suo status è quello di “testimone di giustizia”. Costretta a sposare, nel 1985 Nicolò Atria, figlio del mafioso Vito Atria,  che venne ucciso nove giorni dopo. Suo marito fu ucciso il 24 giugno 1991, nel suo ristorante e in sua presenza. Piera Aiello decise di denunciare i due assassini del marito, iniziando, assieme alla cognata Rita Atria la sua collaborazione con il giudice Paolo Borsellino. Una vita condotta nell’ombra, quasi ad espiazione della sua scelta coraggiosa.

Su Giovanni ogni commento è inutile: dalla morte di suo fratello ha dedicato, in modo instancabile, la sua vita a testimoniare la vita e le scelte politiche di suo fratello, senza piegarsi a minacce o attentati: non c’è dubbio che, senza la sua costante presenza e quella di pochi compagni, Peppino avrebbe potuto essere presto dimenticato e non si sarebbe mai arrivati al processo e alla condanna dei suoi assassini.

La scelta dell’antifascismo è perfettamente in linea con quella a suo tempo fatta da Peppino e dal movimento di Lotta Continua in cui militava. Così come la sua denuncia sul fatto che il Movimento Cinquestelle rischia di essere il cavallo di Troia della Lega nella deriva neofascista e autoritaria verso cui sembra si stia scivolando, riporta indietro a passate responsabilità di partiti, come i Popolari e i Liberali che nel 1923 non seppero rendersi conto del pericolo cui andavano incontro appoggiando Mussolini. Rimane pertanto la scelta di una lacerazione politica insanabile, ma che comunque non dovrebbe costituire un ostacolo insormontabile per una ripresa dei rapporti umani tra persone che dicono di stimarsi e che, con le loro scelte, si trovano davanti al compito arduo di continuare a lottare contro la violenza mafiosa di cui sono state vittime.

Tutto ciò pone un vecchio e irrisolto problema: Peppino Impastato, così come tutte le vittime della violenza mafiosa o fascista appartengono a tutti o solo alla parte politica di cui sono stati espressione? Negli ultimi anni Giovanni Impastato ha cercato di allargare, malgrado alcuni mugugni interni di vecchi “compagni”, l’area della partecipazione alle iniziative al mondo cattolico e ad  altre associazioni e sigle non ideologicamente schierate con le scelte extraparlamentari di Peppino. Si pensi che anche i fascisti di CasaPound annoverano Peppino tra i personaggi degni del loro “onore”. In circostanze come queste i bisogna dire un “No, grazie”, come è stato sinora fatto, o andare a un “tutti insieme appassionatamente?”

In questo caso è inutile ripetere, come scritto sullo striscione che, dai funerali di Peppino è stato sempre portato in alto, “Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”.

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