Il processo Saguto: Telejato non c’entra, dice Lo Voi, e invece gli altri magistrati dicono sì

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Dall’audizione di Pino Maniaci a Caltanissetta, al servizio delle Iene nato dalla nostra inchiesta La mafia dell’antimafia: vi spieghiamo perché il caso Saguto è stato sollevato dai servizi denuncia di Telejato, e come si è cercato in tutti i modi di nascondere o di oscurare il ruolo della nostra emittente.

Man mano che vanno avanti le escussioni dei testi nel processo che si sta svolgendo presso il tribunale di Caltanissetta, nei confronti di Silvana Saguto e dei componenti del suo “cerchio magico”, in relazione all’allegra gestione della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, vengono fuori, dalle deposizioni dei vari magistrati, una serie di notizie, spesso spezzettate, dalle quali si evince con chiarezza che quanto dichiarato dal Procuratore Capo di Palermo Lo Voi e dalla sua collega Lucchini quantomeno non è esatto: i due magistrati si sono affrettati a dichiarare che, nella vicenda che ha portato all’incriminazione degli attuali imputati, Telejato non c’entra e che l’indagine sarebbe partita direttamente e autonomamente da Palermo, da dove, per una pelosa intenzione di trasparenza e di pulizia, sarebbero state trasmesse alcune segnalazioni a Caltanissetta. Maniaci sarebbe stato tirato in campo a seguito di intercettazioni relative ai mafiosi di Borgetto e Partinico, indipendentemente da quanto invece stavano facendo i magistrati di Palermo. E tuttavia una prima smentita a queste affermazioni è già scritta nel decreto di sequestro dei beni della Saguto, allorchè in un capitolo intitolato “Le origini”, si fa già esplicito riferimento alla campagna che Telejato stava conducendo, già a partire dal 2013.

I primi casi di cui ci siamo occupati riguardavano le vicende del sequestro dei beni di Andrea Impastato e poi di quello della Latticini Provenzano, legato al sequestro Grigoli di Castelvetrano, al sequestro dei beni dei Cavallotti. Successivamente abbiamo continuato l’inchiesta sugli amministratori giudiziari, e in particolare sull’operato di Cappellano Seminara in relazione ai sequestri dei beni di Piazza, dell’Hotel Ponte, della Aedilia Venusta, di Villa Santa Teresa. Una lunga fila di casi su cui nessuno fingeva di sapere niente. Come ha detto la dott.ssa Rosini in una precedente deposizione, essa aveva appreso diverse notizie dai servizi di Telejato, che, per contro, era ritenuto dai magistrati di prevenzione, come ha detto l’autista della Saguto, Di Martino, “il famoso pazzo”, e al quale i suoi colleghi Chiaramonte e Licata avevano mostrato di non dare credito.

Pare che a fare scoppiare il caso e a renderlo di pubblica conoscenza, sia stato il servizio delle Iene, trasmesso il 15 maggio 2015. Ma già in quel servizio Pino Maniaci faceva le sue dichiarazioni e quel servizio non sarebbe stato possibile senza il precedente lavoro di Telejato. Quindi non è possibile, non è provatamente possibile che la Procura di Palermo non sapesse niente di quello che veniva trasmesso e che fosse intervenuta solo perché dopo il servizio delle Iene non si poteva più nascondere la verità. Anche il pm Tartaglia, ascoltato il 21 febbraio 2015 ha riferito l’importanza delle notizie di Telejato e ha detto di essere al corrente che Pino Maniaci era stato ascoltato a Caltanissetta, su sua richiesta, dal giudice Gozzo e da altri due funzionari militari. Proprio questa audizione avvenuta nel marzo 2014 sembra invece essere scomparsa dagli atti oggi all’esame processuale, ed è su questa audizione che questa emittente chiede si faccia chiarezza. Esiste un verbale dell’audizione? Se sì, perché non è ancora venuto fuori, se invece non si trova, come e perché è scomparso. In ogni caso sono notizie che si potrebbero chiedere al giudice Gozzo, che allora interrogò Maniaci per quasi tre ore e che sospese l’audizione con l’impegno, poi mai rispettato, di un nuovo incontro.

La conclusione che si può trarre è che si è cercato in tutti i modi di nascondere o di oscurare il ruolo dell’emittente Telejato a seguito delle vicende con le quali si è deciso di incriminarlo e di distruggerne la credibilità. Riconoscere a Maniaci di avere avuto un ruolo centrale nella vicenda sarebbe stato come riconoscere che il suo lavoro per una giustizia corretta è stato fondamentale e che la sua attività antimafia nello svelare la gestione criminosa dei beni sequestrati ha avuto il merito di avere svelato le magagne di un settore ritenuto il fiore all’occhiello di tutto il tribunale di Palermo, da una parte con l’assenso di alcuni magistrati, dall’altra col silenzio complice di altri. Sono state addirittura cancellate, per disposizione dei giudici, le intercettazioni tra Maniaci e vari esponenti politici con i quali egli parlava della necessità di operare una riforma della legge che dava carta bianca, anche sulla base di sospetti, ai giudici, per procedere ai sequestri, anche di persone penalmente assolte e affidarli a persone di fiducia. Forse non si è voluto far sapere che persone di specchiata professione antimafia potessero avere avuto contatti con un pericoloso criminale. In questo contesto le vicende della incriminazione di Maniaci, avvenuta nel maggio 2016, cioè sei mesi dopo quella della Saguto, e le modalità con cui è stata posta in atto assumono una chiave di lettura diversa e gettano più di un’ombra sull’operato dei giudici che, con le modalità che molti ben conoscono, hanno cercato di cancellare radicalmente l’emittente, il suo operato e i suoi collaboratori.

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